FORTETO, CASO ANCORA APERTO
La giustizia italiana non naviga in buone acque. Il tempo in cui i migliori maturati si iscrivevano a giurisprudenza sedotti dal sacrificio di Falcone e Borsellino è lontano. Fra intercettazioni e «confessioni d’oltretomba», un patrimonio di prestigio alimentato dal sacrificio di molti giudici rischia di andare disperso. A Firenze la situazione è incendiaria, dopo che i magistrati Ornella Galeotti e Giuliano Giambartolomei dinanzi alla commissione parlamentare d’inchiesta sul caso del Forteto hanno denunciato la «connotazione di totale illegalità» del sistema di affidamenti alla cooperativa, con affermazioni che il presidente del tribunale per i minori di Firenze ha definito «tanto generiche quanto gravi e offensive». Incendia plerumque fiunt culpa inhabitantium — gli incendi il più delle volte avvengono per colpa degli abitanti di uno stabile — recita una vecchia massima, ma in questo caso è lecito domandarsi se la colpa sia di chi ha espresso con sincerità le proprie opinioni o di chi ha continuato ad affidare bambini e adolescenti alla comunità del Forteto, retta da un soggetto prima inquisito e poi nel 1985 condannato con sentenza definitiva per reati contro i minori. In realtà è difficile capire i meccanismi che hanno condotto a trent’anni di irregolarità diffusa senza immergersi nel clima culturale (o contro-culturale) in cui maturò l’esperienza del Forteto nella seconda metà degli anni ’70. Fiesoli si professava discepolo di don Milani, contestava la famiglia tradizionale, promuoveva l’utopia di una «comune». Era stato arrestato e condannato, ma il suo inquisitore si chiamava Carlo Casini, magistrato cattolico, impegnato nel Movimento per la Vita e deputato nazionale ed europeo per più legislature. In più il 10 gennaio 1975 aveva fatto arrestare il ginecologo e militante radicale Giorgio Conciani per gli aborti praticati nella sua fiorentina «fabbrica degli angeli»; e l’aveva fatto ricavando la notitia criminis da un articolo uscito sul Candido, diretto dal senatore del Msi Giorgio Pisanò. Tanto bastava, agli occhi di molti, per minarne l’attendibilità. Non è facile valutare quanto questo pregiudizio abbia influito sull’impunità a lungo assicurata a Fiesoli e ai suoi collaboratori, ma un fatto è certo: è giunto il momento che la vicenda del Forteto passi dalle aule dei tribunali, in cui giustizia bene o male è stata fatta, a quelle delle università in cui si scrive la storia del tormentato cattolicesimo fiorentino.