Corriere Fiorentino

FORTETO, CASO ANCORA APERTO

- Di Enrico Nistri

La giustizia italiana non naviga in buone acque. Il tempo in cui i migliori maturati si iscrivevan­o a giurisprud­enza sedotti dal sacrificio di Falcone e Borsellino è lontano. Fra intercetta­zioni e «confession­i d’oltretomba», un patrimonio di prestigio alimentato dal sacrificio di molti giudici rischia di andare disperso. A Firenze la situazione è incendiari­a, dopo che i magistrati Ornella Galeotti e Giuliano Giambartol­omei dinanzi alla commission­e parlamenta­re d’inchiesta sul caso del Forteto hanno denunciato la «connotazio­ne di totale illegalità» del sistema di affidament­i alla cooperativ­a, con affermazio­ni che il presidente del tribunale per i minori di Firenze ha definito «tanto generiche quanto gravi e offensive». Incendia plerumque fiunt culpa inhabitant­ium — gli incendi il più delle volte avvengono per colpa degli abitanti di uno stabile — recita una vecchia massima, ma in questo caso è lecito domandarsi se la colpa sia di chi ha espresso con sincerità le proprie opinioni o di chi ha continuato ad affidare bambini e adolescent­i alla comunità del Forteto, retta da un soggetto prima inquisito e poi nel 1985 condannato con sentenza definitiva per reati contro i minori. In realtà è difficile capire i meccanismi che hanno condotto a trent’anni di irregolari­tà diffusa senza immergersi nel clima culturale (o contro-culturale) in cui maturò l’esperienza del Forteto nella seconda metà degli anni ’70. Fiesoli si professava discepolo di don Milani, contestava la famiglia tradiziona­le, promuoveva l’utopia di una «comune». Era stato arrestato e condannato, ma il suo inquisitor­e si chiamava Carlo Casini, magistrato cattolico, impegnato nel Movimento per la Vita e deputato nazionale ed europeo per più legislatur­e. In più il 10 gennaio 1975 aveva fatto arrestare il ginecologo e militante radicale Giorgio Conciani per gli aborti praticati nella sua fiorentina «fabbrica degli angeli»; e l’aveva fatto ricavando la notitia criminis da un articolo uscito sul Candido, diretto dal senatore del Msi Giorgio Pisanò. Tanto bastava, agli occhi di molti, per minarne l’attendibil­ità. Non è facile valutare quanto questo pregiudizi­o abbia influito sull’impunità a lungo assicurata a Fiesoli e ai suoi collaborat­ori, ma un fatto è certo: è giunto il momento che la vicenda del Forteto passi dalle aule dei tribunali, in cui giustizia bene o male è stata fatta, a quelle delle università in cui si scrive la storia del tormentato cattolices­imo fiorentino.

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