TOSCANA DA CAMBIARE, VOCAZIONI DA SALVARE
Amotivo della sua specializzazione, industriale-distrettuale e turistica, con una spiccata vocazione all’export, la Toscana sta conoscendo una crisi da pandemia Covid-19 anche più rilevante dell’Italia e delle altre regioni. È opinione diffusa che ciò imponga un ripensamento del modello economico tradizionale (come ha auspicato il senatore del Pd Tommaso Nannicini sul Corriere Fiorentino del 4 luglio). Pur concordando, penso che sia utile guardare dentro la crisi per sottolineare non solo le debolezze ma anche le «vocazioni» del modello toscano che non pare opportuno, nell’ansia del ripensamento, dismettere.
Da queste vocazioni occorre partire per innescare la rinascita economica. Il crollo della produzione industriale è arrivato dopo che l’industria Toscana degli ultimi anni aveva mostrato sintomi di un certo declino. La crisi, iniziata ormai più di dieci anni fa, ci ha lasciato in eredità un’economia sostanzialmente in stagnazione perdurante, in cui la componente industriale si è difesa solo grazie all’export di alcuni settori: il blocco produttivo causato dal lockdown ha quindi amplificato problemi già esistenti. Inoltre, la Toscana fa peggio del dato nazionale non solo perché il suo risultato da marzo in poi è stato più negativo, ma anche perché la nostra regione sembrerebbe aver risentito maggiormente degli effetti negativi del virus anche a febbraio per la maggiore dipendenza di alcuni settori dalle importazioni provenienti dalla Cina, che in quel mese erano quasi bloccate. Una fragilità che mai si era manifestata prima d’ora.
Più in generale abbiamo una struttura industriale che, insieme a una scala più ridotta, sempre più si va posizionando nelle fasi finali delle catene di creazione del valore. Per cui la componente protagonista dell’export è accompagnata anche da una crescente attività di importazione per le fasi iniziali della catena, con un effetto sul Pil regionale più contenuto. È quindi indispensabile allargare il tessuto industriale; quanto più questo sarà ampio, diffuso su filiere intere, con minore contenuto di importazione, e quanto più riuscirà a dare slancio all’economia. Ciò spiega perché tra le componenti meno colpite vi sono le industrie alimentari, chimiche e farmaceutiche.
Il «nuovo» modello economico non può però prescindere da una crescita del manifatturiero, naturalmente quello ad alta tecnologia, digitalizzata, con elevata produttività derivante dalla conoscenza e dalla formazione dei propri addetti. Con la più stabile occupazione che ne deriva, meno si espande il settore dei servizi di natura secondaria, i servizi che diventano sostituti e non complementari all’industria. Se vogliamo che il terziario regionale vada verso un’espansione di servizi all’economia, all’impresa (servizi finanziari, di consulenza, di tecnologia ambientale, di urbanistica) è chiaro che contemporaneamente debba crescere la destinazione industriale delle aree interne. Da cui una riduzione del terziario a basso valore aggiunto, funzionale ad esempio al turismo di passaggio. Ma anche il turismo non è solo decadenza economica: al suo interno la tecnologia può avere una rilevanza fondamentale e, quindi, può essere portatore di una modernità che va coltivata come la manifattura.
Altro elemento debole del tessuto economico toscano su cui occorre intervenire è quello dell’imprenditorialità. Tra le numerose aziende, le società di capitali — quelle capaci di forme di autofinanziamento, che hanno capitale proprio, quindi di rischio e di imprenditorialità — sono in numero ridotto. Una parte rilevante sono società di persone, di piccolissime dimensioni, familiari; quasi la metà sono imprese individuali, quindi di fatto non-imprese. Poche imprese toscane sono affiliate a contratti di rete, quel meccanismo di cooperazione per affrontare le sfide della ricerca sui prodotti all’esportazione, del marketing internazionale e della produzione green.
In conclusione, sembra che si possa dire che c’è molto da lavorare in Toscana ma che forse non vi sono modelli da «buttare», anche se il confine tra trasformazione e cambiamento in economia è molto sottile.