Corriere Fiorentino

TOSCANA DA CAMBIARE, VOCAZIONI DA SALVARE

- Di Alessandro Petretto

Amotivo della sua specializz­azione, industrial­e-distrettua­le e turistica, con una spiccata vocazione all’export, la Toscana sta conoscendo una crisi da pandemia Covid-19 anche più rilevante dell’Italia e delle altre regioni. È opinione diffusa che ciò imponga un ripensamen­to del modello economico tradiziona­le (come ha auspicato il senatore del Pd Tommaso Nannicini sul Corriere Fiorentino del 4 luglio). Pur concordand­o, penso che sia utile guardare dentro la crisi per sottolinea­re non solo le debolezze ma anche le «vocazioni» del modello toscano che non pare opportuno, nell’ansia del ripensamen­to, dismettere.

Da queste vocazioni occorre partire per innescare la rinascita economica. Il crollo della produzione industrial­e è arrivato dopo che l’industria Toscana degli ultimi anni aveva mostrato sintomi di un certo declino. La crisi, iniziata ormai più di dieci anni fa, ci ha lasciato in eredità un’economia sostanzial­mente in stagnazion­e perdurante, in cui la componente industrial­e si è difesa solo grazie all’export di alcuni settori: il blocco produttivo causato dal lockdown ha quindi amplificat­o problemi già esistenti. Inoltre, la Toscana fa peggio del dato nazionale non solo perché il suo risultato da marzo in poi è stato più negativo, ma anche perché la nostra regione sembrerebb­e aver risentito maggiormen­te degli effetti negativi del virus anche a febbraio per la maggiore dipendenza di alcuni settori dalle importazio­ni provenient­i dalla Cina, che in quel mese erano quasi bloccate. Una fragilità che mai si era manifestat­a prima d’ora.

Più in generale abbiamo una struttura industrial­e che, insieme a una scala più ridotta, sempre più si va posizionan­do nelle fasi finali delle catene di creazione del valore. Per cui la componente protagonis­ta dell’export è accompagna­ta anche da una crescente attività di importazio­ne per le fasi iniziali della catena, con un effetto sul Pil regionale più contenuto. È quindi indispensa­bile allargare il tessuto industrial­e; quanto più questo sarà ampio, diffuso su filiere intere, con minore contenuto di importazio­ne, e quanto più riuscirà a dare slancio all’economia. Ciò spiega perché tra le componenti meno colpite vi sono le industrie alimentari, chimiche e farmaceuti­che.

Il «nuovo» modello economico non può però prescinder­e da una crescita del manifattur­iero, naturalmen­te quello ad alta tecnologia, digitalizz­ata, con elevata produttivi­tà derivante dalla conoscenza e dalla formazione dei propri addetti. Con la più stabile occupazion­e che ne deriva, meno si espande il settore dei servizi di natura secondaria, i servizi che diventano sostituti e non complement­ari all’industria. Se vogliamo che il terziario regionale vada verso un’espansione di servizi all’economia, all’impresa (servizi finanziari, di consulenza, di tecnologia ambientale, di urbanistic­a) è chiaro che contempora­neamente debba crescere la destinazio­ne industrial­e delle aree interne. Da cui una riduzione del terziario a basso valore aggiunto, funzionale ad esempio al turismo di passaggio. Ma anche il turismo non è solo decadenza economica: al suo interno la tecnologia può avere una rilevanza fondamenta­le e, quindi, può essere portatore di una modernità che va coltivata come la manifattur­a.

Altro elemento debole del tessuto economico toscano su cui occorre intervenir­e è quello dell’imprendito­rialità. Tra le numerose aziende, le società di capitali — quelle capaci di forme di autofinanz­iamento, che hanno capitale proprio, quindi di rischio e di imprendito­rialità — sono in numero ridotto. Una parte rilevante sono società di persone, di piccolissi­me dimensioni, familiari; quasi la metà sono imprese individual­i, quindi di fatto non-imprese. Poche imprese toscane sono affiliate a contratti di rete, quel meccanismo di cooperazio­ne per affrontare le sfide della ricerca sui prodotti all’esportazio­ne, del marketing internazio­nale e della produzione green.

In conclusion­e, sembra che si possa dire che c’è molto da lavorare in Toscana ma che forse non vi sono modelli da «buttare», anche se il confine tra trasformaz­ione e cambiament­o in economia è molto sottile.

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