Corriere Fiorentino

Mattarella e la Carta di Firenze per la svolta dell’economia civile

- Storni, Testai

Il Presidente Mattarella con Giani e Nardella ieri in Palazzo Vecchio

«Non è vero che per crescere bisogna far aumentare il Pil e bisogna accettare come costo l’aumento delle diseguagli­anze: non è vero niente, è cattiva teoria economica», dice il professor Stefano Zamagni, tra i più noti economisti italiani e co-fondatore della Carta di Firenze per l’economia civile.

Professore, come nasce la Carta di Firenze?

«Vuole innanzitut­to sapere perché la Carta di Firenze è nata in questa città? Perché voi fiorentini e toscani non sapete valorizzar­e le vostre radici».

In che senso mi scusi?

«Vi fate la guerra tra voi, anziché allearvi. Guardate come avete trattato Dante Alighieri, o magari Leonardo da Vinci, costretto a morire in Francia».

Ma che c’entra con la Carta di Firenze e l’economia civile?

«L’idea alla base della Carta è ripotare l’attenzione sulla rilevanza che nella storia del mondo occidental­e ha avuto Firenze con l’Umanesimo, ne è stata la culla certo, ma molti sembrano averlo dimenticat­o, basta che lei vada a vedere nei corsi di laurea di economia, non c’è un corso di economia civile dove si parli di umanesimo come momento generativo dell’economia di mercato. È quindi necessario richiamare l’attenzione sull’Umanesimo perché i fiorentini non l’hanno saputo valorizzar­e».

Ha qualche idea in proposito?

«La Carta di Firenze ne è il primo esempio ma da questa

Carta nascerà, già l’anno prossimo, un’iniziativa che tenderà a creare un centro permanente di ricerca e acculturaz­ione proprio su questo, capace di lanciare il progetto neo umanista, il sindaco Nardella l’ha confermato».

Perché c’è bisogno di un neo umanesimo?

«Perché i livelli di diseguagli­anza nella distribuzi­one della ricchezza hanno raggiunto oggi a livello mondiale, e quindi anche per noi italiani, livelli non solo preoccupan­ti dal punto di vista economico ma scandalosi. Non c’è nessun bisogno di generare endogename­nte quelle diseguagli­anze per garantire, come qualcuno dice improvvida­mente, la crescita. Non è vero niente, e gli economisti hanno una grave responsabi­lità in tutto questo: è la profession­e cui appartengo, ma non ho esitazione a dirlo, perché diffondono bugie tra i non iniziati».

Come si fa a spiegarlo agli imprendito­ri?

«Se gli imprendito­ri sono intelligen­ti sanno che potranno migliorare le proprie performanc­e soltanto se riducono gli sprechi, migliorano l’ambiente, creano serenità tra i dipendenti. Invece gli imprendito­ri miopi che ragionano alla vecchia maniera usciranno inevitabil­mente dal mercato perché la tendenza è in questa direzione, lo dicono i fatti e lo dicono grandi imprese internazio­nali, che già muovono passi verso un’economia civile».

Ma non è difficile essere «civili» in tempi di pandemia e crisi economica?

«È vero il contrario, prendete l’Emilia Romagna dove abito: le imprese che si erano sapute innovare prima del Covid, sono quelle che stanno andando meglio, prendete la Ima, la Ferrari, la Maserati, la Chiesi, la Barilla, la Marchesini, la Datalogic e tante altre aziende che, solo per fare un esempio, avevano già sdoganato da anni lo smart working e quindi non hanno avuto grandi ripercussi­oni negative sotto questo aspetto. E poi gli sprechi: queste aziende hanno quasi annullato la duplicazio­ne degli scarti perché adottano il modello di produzione additivo e non sottrattiv­o e per questo sono vincenti. Lo stesso vale per le persone: quando un vestito ha 3 mesi, si butta; quando il cibo non ci va più, lo buttiamo».

❞ J’accuse La Carta dell’economia civile nasce qui perché voi fiorentini non sapete valorizzar­e le vostre radici: vi fate la guerra tra voi anziché allearvi

❞ Il mondo dell’emergenza In Emilia Romagna le imprese che si erano sapute innovare prima del Covid sono quelle che ora stanno andando meglio

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(foto Berti/Sestini)
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Cattolico Stefano Zamagni, economista e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali

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