GLI STUDENTI IN AULA, QUELLI ON LINE E UN DUBBIO TEATRALE
Da lunedì 28 settembre, gli studenti dell’Università di Firenze torneranno a frequentare le lezioni «in presenza». Seguendo protocolli di sicurezza e contingentati nel numero, accederanno nuovamente alle aule. Le lezioni verranno anche trasmesse on line e registrate. Il lavoro tramite cui l’ateneo fiorentino si è preparato alla riapertura merita il massimo rispetto. È frutto di uno sforzo collettivo encomiabile, che non è qui in discussione. Il problema è infatti più grande di noi: riguarda la possibilità che soggetti che stanno in luoghi e tempi diversi possano partecipare al medesimo evento. Come nelle sedute spiritiche. Da lunedì, avremo infatti a che fare con inedite classi «dissociate», in quanto composte da coloro che stanno in aula, da coloro che seguono on-line, dai tanti che, chissà quando, guarderanno le lezioni registrate come fossero una serie su Netflix. Di fronte alla separazione dei corpi e all’auspicata unità tra le menti, verrebbe da pensare alla secca alternativa tra due format: nel primo, il docente, pur in aula, parla rivolto al computer, in immediata comunione con coloro che sono «on line», mentre i presenti assistono come una sorta di «pubblico in sala»; il secondo format è invece polarizzato su ciò che avviene in aula: il docente interagisce con i presenti, mentre le «menti in remoto» assistono attraverso gli schermi. È una alternativa radicale: riusciremo a superarla combinando le modalità della comunicazione in presenza, con quelle della comunicazione a distanza e nel tempo? Non è facile, anche perché, grazie al cielo, da molti anni gli studenti non sono più mero pubblico: hanno imparato a parlare; non solo col vicino di banco, ma con tutti. Le lezioni sono vivaci e interattive. Sono un momento unico, frutto (anche) dell’improvvisazione creativa: del docente e degli studenti. Il professore dunque non recita più da solo: la quarta parete — come si dice parlando del teatro — è stata abbattuta: il pubblico sta ora sul palcoscenico, ovvero, se vogliamo vedere le cose dall’altra parte, è il professore-attore ad essere sceso in platea per partecipare assieme al pubblico ad un’unica realizzazione scenica. Come sarà dunque possibile partecipare alla stessa azione teatrale, se i vari attori stanno ora in luoghi e tempi diversi? Come mettere in comunicazione interattiva e simultanea i «presenti», le «menti in remoto» e le «anime dell’aldilà», cioè coloro che, dormienti, risorgeranno un dì per condividere le lezioni registrate? Se il pubblico ascoltasse e basta, come accadeva un tempo, sarebbe facile; ma le lezioni universitarie sono ormai da anni un evento collettivo e interattivo, che accade in un tempo preciso e irripetibile. Si dirà: con le nuove tecnologie si può fare. Dubito: anche Lilli Gruber, che è una vera professionista della comunicazione, gestisce, nel suo programma, una «classe dissociata», cioè composta da ospiti «presenti» di persona e on line; ma si tratta di tre o quattro individui al massimo, e comunque l’evento non si propone obiettivi formativi.
Non rimane che aspettare e vedere come va. La qualità del contesto universitario fiorentino fa ben sperare. Non dimentichiamo, tuttavia, che un antico maestro greco consigliava, per il teatro, «unità di tempo, di luogo e di azione». Diceva che proprio la presenza di tali requisiti distingue il genere «alto» dalla commedia.
Come si potrà mettere in comunicazione chi è presente e chi è in remoto? I ragazzi ormai da anni non sono più solo pubblico, il prof-attore è sceso in mezzo alla platea