I migranti della Agus «Chi è curioso supera i pregiudizi»
Milena Agus, domani al Pisa Book Festival online, parla di «Un tempo gentile» «È il mio primo libro politico: racconto di una comunità di migranti in un paesino sardo»
C’è uno scarto evidente tra questo suo ultimo romanzo Un tempo gentile, (nottetempo edizioni pp. 197, euro 16,00) e i suoi precedenti, Ali di babbo, Mal di Pietre, La contessa di ricotta.
Milena Agus (domani al Pisa Book Festival, di cui è madrina, dalle 15 alle 16 in collegamento sul canale Youtube della manifestazione con Lucia Della Porta) affronta per la prima volta una scrittura politica. Siamo in un paesino del campidano, nella zona sud-occidentale della sua Sardegna, un luogo abbandonato dalla storia: non è più Comune, non ha una guardia medica non ha una stazione, non ha giovani. Non ha neanche un Natale degno di questo nome perché nessuno di quanti sono emigrati torna per le feste. Un giorno le poche persone che lo abitano devono fare i conti con l’«invasore», un manipolo di migranti — siriani musulmani — nemmeno tanto desiderosi di integrazione. Comunque sia la comunità dei residenti si spacca: c’è chi è incuriosito e pronto ad accoglierli e chi si oppone. Malgrado le resistenze reciproche le carte in tavola vengono rimescolate. La vita di questa gente prende una direzione nuova. E la macrostoria incontra le microstorie.
Come mai un libro politico da lei che è una scrittrice quasi onirica, adusa a usare le stesse parole e lo stesso ritmo delle favole? A cercare un suo simile, tra i contemporanei, verrebbe da pensare a Murakami...
«È vero è il più politico. Non a caso è il più corale anche stilisticamente. Non scrivo più in prima o terza persona singolare, ma per la prima volta uso la prima persona plurale. La voce narrante, una delle donne che accoglie con curiosità la comunità di migranti, usa il «noi». Credo di aver scritto questo libro perché io non ho mai fatto nulla per “i forestieri”, non faccio parte di nessuna comunità di accoglienza, di nessuna ong. Così ho pensato che un libro come il Un tempo gentile potesse essere un contributo a far conoscere qualcosa di loro».
Come ha fatto a scrivere di chi non conosce?
«Mi sono fatta raccontare molte storie di migranti da amici impegnati nell’accoglienza, la comunità sarda è invece composta da molti volti che ho incontrato, sono spunti su cui ho lavorato di fantasia, la voce narrante ha qualcosa di me».
I suoi migranti non sembrano particolarmente entusiasti del luogo dove sono arrivati. Dicono «questa non è l’Europa». Non è che ha ribaltato il punto di vista chiedendosi e chiedendoci se noi occidentali siamo all’altezza delle loro aspettative?
«Sì è vero, l’Europa non è all’altezza dei loro sogni. Mi chiedo se la loro ostinata voglia di venire da questa parte del mondo nasca dal fatto che nei loro Paesi circolino false notizie su di noi o da una disperazione tale che gli fa preferire raccogliere per ore pomodori per pochi euro alla loro vita. Va però detto che l’Italia è più accogliente di altri Paesi».
La comunità che li ospita si spacca. Ch sono quelli disposti ad accoglierli e quelli restii ad aprirsi allo straniero?
«In primo luogo credo sia una questione di curiosità. Chi è più curioso è anche più disponibile a superare pregiudizi e paure. Poi c’è una questione anche caratteriale, c’è chi è più empatico e chi meno. Ma la curiosità è importante. È quella che farà scoprire alle donne che si aprono al nuovo che anche per i musulmani vale il detto che dove mangia uno mangiano due, e che anche per loro toccare donne, bambini e alberi degli “altri” è un tabù».
Resta il fatto che gli stranieri, restano i «neri musoni» come li chiamano le donne...
«Sì, e il più musone di loro è un bambino, si chiama Mahmoud, è un bambino a cui non interessa nulla del mondo che lo accoglie, non i vestiti, non gli abiti, non il cibo. È il classico bambino più antipatico della classe. Si direbbe un musulmano integralista. Solo alla fine scopriamo che ha assistito coi suoi occhi a degli occidentali che buttavano a mare i suoi fratelli».
Diciamo che è un muso che si comprende... Andiamo agli italiani. Pur essendo un libro corale, animato da molti personaggi, ciascuno di loro è caratterizzato...
«Sì ci sono l’ingegnere e il professore tra i volontari che accompagnano i migranti: sono quelli che si danno delle arie. Ci sono i piccoli pettegolezzi e le cattiverie della comunità d’accoglienza. C’è anche una storia d’amore. Ci sono storie piccole che si intrecciano. È un libro molto lavorato. L’ho scritto e riscritto 14 volte. Poi quando l’ho finito c’è stata anche una versione 14 bis».
E ora sta lavorando a un altro romanzo?
«Sì. Se non cambio idea s’intitolerà Una moglie fuori luogo, ed è la storia di una ricca ereditiera che rifiuta la propria ricchezza. Investe i suoi fondi in azioni etiche, decide di laurearsi in Lettere e di andare a insegnare in un paesino dell’interno dove si innamorerà di un pastore. È la prima volta che scrivo di scuola, io che ho sempre insegnato. Ma dall’anno scorso sono in pensione».
❞ Credo che l’Europa non sia all’altezza dei loro sogni e Mahmoud, un bambino a cui non interessa integrarsi, ne è la prova