SENZA CALCIO NON È PIÙ IL FRANCHI
Nel dibattito, a tratti surreale, sul futuro del Franchi spesso viene messo in secondo piano (o a volte addirittura dimenticato) un aspetto fondamentale: nell’impianto progettato da Pier Luigi Nervi ormai più di 90 anni fa si è sempre giocato a calcio. È nato per ospitare partite di pallone (a dire il vero ci sono state anche gare di rugby e qualche storica serata di atletica) e senza partite di pallone, o comunque senza lo sport professionistico, il Franchi è destinato alla decadenza. Bisogna partire da qui per immaginare gli interventi su una struttura che — e questo è un altro elemento che sfugge agli ultrà della tutela dei beni architettonici senza se e senza ma — oggi cade a pezzi. Chi prima della pandemia frequentava lo stadio di Campo di Marte lo sa bene: siamo al punto di non ritorno, servono interventi strutturali importanti per evitare che la Uefa non dia il permesso di giocarci partite internazionali (finora si è andati avanti con le deroghe). Senza sottovalutare la possibilità di un ridimensionamento della capienza per le partite di campionato, una volta che saranno riammessi i tifosi nelle curve e nelle tribune. Questa è la realtà dei fatti. Chi fa riferimento a un astratto o a un «divino» concetto di bellezza del Franchi, negli ultimi anni non è mai stato al Franchi o lo ha visto soltanto sui libri di architettura, perché decontestualizza uno scenario che invece ha poco a che vedere con il passato e molto con il presente e il futuro.
La vera partita, infatti, è rendere un impiantogioiello, ormai obsoleto, all’altezza delle sfide di un calcio moderno, che passata l’emergenza sanitaria, avrà ancora più fame di spazi in grado anche di far crescere fatturati falcidiati dal Covid. «L’architettura è un pretesto. Importante è la vita, importante è l’uomo», ripeteva spesso il visionario architetto brasiliano Oscar Niemeyer. Certo, è lecito chiedersi che piega avrebbe preso il dibattito con un presidente diverso da Commisso: il verbo «abbattere» usato come una clava, le pressioni a suon di cortei e striscioni per poi far trapelare la volontà di mollare se non si fa come dice lui (potrebbe essere un’ottima strategia d’uscita), hanno creato un clima poco favorevole al giusto compromesso tra la tutela del bene architettonico e le legittime esigenze di crescita del club viola. Comunque, qualsiasi sia la risposta del Ministero dei beni culturali alle lettere inviate dalla Fiorentina e da Palazzo Vecchio, Firenze si troverà davanti a un bivio: il Franchi può continuare a essere il luogo dove gioca l’unica squadra di serie A della città o è destinato a diventare un monumento vuoto? Perché su una cosa Commisso ha ragione: per tenere in piedi lo stadio di Campo di Marte servono sì idee coraggiose ma anche tanti quattrini (oggi solo per una manutenzione chiaramente insufficiente si spendono poco più di 3 milioni di euro l’anno). Se le istituzioni nazionali e locali sono in grado di trovarli, lo facciano. Altrimenti favoriscano soluzioni che magari possono rappresentare un’occasione di sviluppo economico e — perché no? — urbanistico, evitando così l’ennesimo spazio vuoto in una città da anni in fuga da se stessa.