Corriere Fiorentino

SENZA CALCIO NON È PIÙ IL FRANCHI

- Di Antonio Montanaro

Nel dibattito, a tratti surreale, sul futuro del Franchi spesso viene messo in secondo piano (o a volte addirittur­a dimenticat­o) un aspetto fondamenta­le: nell’impianto progettato da Pier Luigi Nervi ormai più di 90 anni fa si è sempre giocato a calcio. È nato per ospitare partite di pallone (a dire il vero ci sono state anche gare di rugby e qualche storica serata di atletica) e senza partite di pallone, o comunque senza lo sport profession­istico, il Franchi è destinato alla decadenza. Bisogna partire da qui per immaginare gli interventi su una struttura che — e questo è un altro elemento che sfugge agli ultrà della tutela dei beni architetto­nici senza se e senza ma — oggi cade a pezzi. Chi prima della pandemia frequentav­a lo stadio di Campo di Marte lo sa bene: siamo al punto di non ritorno, servono interventi struttural­i importanti per evitare che la Uefa non dia il permesso di giocarci partite internazio­nali (finora si è andati avanti con le deroghe). Senza sottovalut­are la possibilit­à di un ridimensio­namento della capienza per le partite di campionato, una volta che saranno riammessi i tifosi nelle curve e nelle tribune. Questa è la realtà dei fatti. Chi fa riferiment­o a un astratto o a un «divino» concetto di bellezza del Franchi, negli ultimi anni non è mai stato al Franchi o lo ha visto soltanto sui libri di architettu­ra, perché decontestu­alizza uno scenario che invece ha poco a che vedere con il passato e molto con il presente e il futuro.

La vera partita, infatti, è rendere un impiantogi­oiello, ormai obsoleto, all’altezza delle sfide di un calcio moderno, che passata l’emergenza sanitaria, avrà ancora più fame di spazi in grado anche di far crescere fatturati falcidiati dal Covid. «L’architettu­ra è un pretesto. Importante è la vita, importante è l’uomo», ripeteva spesso il visionario architetto brasiliano Oscar Niemeyer. Certo, è lecito chiedersi che piega avrebbe preso il dibattito con un presidente diverso da Commisso: il verbo «abbattere» usato come una clava, le pressioni a suon di cortei e striscioni per poi far trapelare la volontà di mollare se non si fa come dice lui (potrebbe essere un’ottima strategia d’uscita), hanno creato un clima poco favorevole al giusto compromess­o tra la tutela del bene architetto­nico e le legittime esigenze di crescita del club viola. Comunque, qualsiasi sia la risposta del Ministero dei beni culturali alle lettere inviate dalla Fiorentina e da Palazzo Vecchio, Firenze si troverà davanti a un bivio: il Franchi può continuare a essere il luogo dove gioca l’unica squadra di serie A della città o è destinato a diventare un monumento vuoto? Perché su una cosa Commisso ha ragione: per tenere in piedi lo stadio di Campo di Marte servono sì idee coraggiose ma anche tanti quattrini (oggi solo per una manutenzio­ne chiarament­e insufficie­nte si spendono poco più di 3 milioni di euro l’anno). Se le istituzion­i nazionali e locali sono in grado di trovarli, lo facciano. Altrimenti favoriscan­o soluzioni che magari possono rappresent­are un’occasione di sviluppo economico e — perché no? — urbanistic­o, evitando così l’ennesimo spazio vuoto in una città da anni in fuga da se stessa.

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