Chiudete gli occhi, si viaggia
L’intervento Giuseppe Cederna domani è ospite degli incontri on line «Le parole del Vieusseux» Verso nuovo orizzonti con uno zaino di libri e gli amici scrittori. «E a volte non serve neanche partire»
Continuano gli incontri on line del ciclo «Le parole del Vieusseux», ideato in occasione del bicentenario del gabinetto letterario fiorentino nato il 25 gennaio del 1820 a Palazzo Buondelmonti. Domani (ore 11, accesso gratuito) sulla piattaforma Più Compagnia Giuseppe Cederna affronterà la parola «Viaggio». L’attore, scrittore e viaggiatore metterà nello zaino le parole di poeti e scrittori, da Chatwin a Herbert, da Bouvier a Rimbaud, «amici» di un’avventura che toccherà la Cina, la Grecia, la Giordania e l’India. L’incontro con Cederna — qui un estratto dell’intervento — resterà disponibile fino al 20 marzo. Tutti gli appuntamenti della rassegna sono accessibili sulla pagina YouTube del Vieusseux.
La parola è Viaggio.Qual luogo migliore di questa biblioteca del Gabinetto Vieusseux per cominciare il nostro viaggio. Scaffali intagliati da un maestro artigiano più di 340 anni fa. Scrigno di legno antico, parole e incontri, dalle città del Rinascimento ai porti del mare del Nord. Per parlare di viaggio bisogna viaggiare.
Siete sulla porta. La valigia chiusa ai vostri piedi, il sacco da infilare sulle spalle, i biglietti in tasca. La pelle sotto i vestiti scalpita. La testa è leggera. Nessun pensiero che non sia qui. Sulla soglia della vostra casa. Chiudete gli occhi per trattenere e assaporare fino in fondo questa vertigine. C’è qualcosa o qualcuno che respira con voi. Lo sentite? È lui: è il viaggio. Fate un passo ma prima di chiudervi la porta alle spalle rientrate in casa e la salutate. Accarezzate con lo sguardo la libreria, il tavolo, i vestiti nell’armadio, rivolgete un certo oggetto verso la porta. La preparate al ritorno. Che sappia aspettarvi, accogliervi quando tornerete. Perché noi abbiamo il ritorno, siamo fortunati. A volte non servono nemmeno una valigia, un sacco da mettere sulle spalle o un biglietto in tasca. Non serve nemmeno partire per sentirlo vicino. A volte viene a trovarci all’improvviso e si siede sul letto. Vi è mai capitato di svegliarvi una mattina e sentirvi diversi? Come se vi foste inaspettatamente liberati. Come se qualcosa o qualcuno fosse venuto a liberarvi. Nessun peso sul petto, il respiro profondo, più libero. Più libero anche lo spazio tra voi e il soffitto. Il cielo condominiale si è sollevato. Fuori dalla finestra il cielo invece vi guarda come se vi aspettasse. In giorni come questi basta scendere sotto casa e il quartiere dove beviamo il cappuccino, facciamo la spesa o portiamo una giacca a lavare, comincia a viaggiare con noi.
I nostri sensi sembrano risvegliarsi. Ci sentiamo leggeri, permeabili. La pelle accoglie l’aria come una foglia al vento e gli occhi si aprono alla meraviglia del quotidiano: i primi germogli della stagione, le curve e lo slancio ramificato dei platani della piazza, un sorriso dietro un mazzo di fiori, il confine tra un cornicione e le nuvole, il cielo in movimento sopra le terrazze invisibili dei palazzi. E poi correnti di odori, profumi più intensi del solito, variazioni di temperatura. Ricordi, pensieri e brandelli di sogni che riemergono. Persino i nostri piedi sulla terra sono più sensibili, quasi captassero i messaggi del mondo invisibile, il regno sotterraneo delle radici. Poi, di colpo, com’era arrivato il viaggio gira l’angolo e scompare. E noi torniamo a brancolare. Che sia proprio questo il viaggio? Questo scarto di esperienza, di pienezza. Questa liberazione? Questo risveglio a noi stessi e al mondo?
Il viaggio comincia sempre prima, molto prima di salire su un aereo, una nave, un treno, una macchina. All’inizio c’è solo un desiderio, una voglia. Il desiderio di partire, di andare a vedere un pezzo di mondo, di umanità dall’altra parte del mondo. Poi quel desiderio prende una forma, una direzione, acquista un nome e un luogo, una meta. Sì siamo noi a concepirlo. Come un figlio. E come un figlio, una volta concepito, comincia a crescere dentro di noi. E noi gli parliamo, lo incoraggiamo, lo nutriamo con amore: chiediamo consigli, leggiamo e ascoltiamo i racconti di altri viaggiatori. E con amore speriamo che una volta nato si ricordi di noi e delle cose che abbiamo amato insieme. Che ci voglia bene insomma. Come un figlio. Intanto lui cresce, cresce. Ci vogliono settimane, mesi, anni persino prima che arrivi la madre che lo farà nascere.
Ma attenzione perché una volta nato è già grande, capace di pensare con la sua testa, di andarsene con le sue gambe. E a noi non resta che seguirlo.
Noi pensiamo di fare un viaggio. Ma è sempre il viaggio a farci e a disfarci. Quanti figli abbiamo visto nascere e prendere il largo davanti ai nostri occhi e quante madri, padri e fratelli abbiamo sparsi nel mondo grazie a loro. Con il viaggio si è meno soli su questa terra. Da allora, prima di partire, metto nel sacco altro amore, altro cibo. Altre parole da leggere davanti ai fuochi, di notte sotto le stelle o all’alba prima di un giorno nuovo di viaggio.
Le parole dei poeti e degli scrittori che illuminano la strada e fanno bene al cuore e alle gambe.
❞ All’inizio di un viaggio c’è solo il desiderio di andare a vedere un pezzo di mondo, di umanità dall’altra parte del mondo. Poi quel desiderio prende forma, acquista una meta. Siamo noi a concepirlo. Come un figlio. E come un figlio cresce dentro di noi...