Corriere Fiorentino

LA DISTANZA TRA L’EUROPA E BARBIANA

- Di Mario Lancisi

Ci risiamo. Allentata la presa mediatica sulla pandemia, tornano di scena gli sbarchi di migranti con Salvini e la Meloni che inveiscono, il governo che rassicura, chi predica accoglienz­a a prescinder­e e chi invoca muri senza indulgenza e sullo sfondo l’Europa divisa tra egoismo e impotenza. Copione pre Covid, vecchio, arciconosc­iuto. Con una novità però che potrebbe risultare importante, promettent­e. La novità si chiama Ursula Von der Leyen, la presidente della Commission­e europea che nei giorni scorsi, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, che si teneva all’Istituto europeo di Fiesole, ha citato «I care», la scritta che campeggiav­a nelle pareti della piccola scuola di Barbiana, tenuta da un prete, don Lorenzo Milani, come bandiera dell’Europa: «I care significa assumere responsabi­lità. Gli europei hanno dimostrato con le loro azioni cosa significa. Questo deve essere il motto dell’Europa. We care», ha spiegato Von der Leyen in collegamen­to con Fiesole.

Ma dall’Europa degli egoismi nazionali e populisti all’Europa del «mi interessa, mi sta a cuore» il passo è lungo — lunghissim­o. La prima a saperlo forse è la stessa Von der Leyen. E, quasi per ironia della sorte, il riemergere prepotente della questione immigrati sottopone la sua proposta alla verifica dei fatti, della politica e anche della Storia. Come si sa, la questione immigrazio­ne è complicata, ma spetta all’Unione europea porsi il problema del suo governo.

Evitando che il peso degli sbarchi gravi solo sui Paesi in cui essi avvengono (quando avvengono e non naufragano invece nella tragedia mediterran­ea).

Ma la questione riguarda da vicino anche noi, nel senso che «I care» ha racchiuso il senso dell’esperienza pedagogica e dell’esperienza di vita di don Milani, un prete fiorentino, di quella Firenze dei «folli di Dio», tanta cara a papa Francesco. La citazione della Von der Leyen ci ha inorgoglit­o e resi forse più esigenti e severi con quanti quella scritta, dopo averla assunta, dovessero tradirla. Ecco perché Firenze ha ora più voce in capitolo, più autorevole­zza per chiedere sull’immigrazio­ne all’Europa uno scatto di responsabi­lità nel segno del discorso della Von der Leyen. E questo scatto può essere favorito anche da un altro fiorentino, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli.

Nei mesi scorsi il cardinale di Firenze Giuseppe Betori ha radunato a sé il vasto e diviso mondo dei seguaci di don Milani. Così pare auspicabil­e che dalla Chiesa fiorentina e da quel gruppo milaniano , in nome dell’«I care» di Barbiana, si levi un appello forte all’Europa e ai suoi vertici — Von der Leyen e Sassoli — perché finalmente si affronti la questione delle migrazioni di massa. E altrettant­o può fare Palazzo Vecchio sul solco delle tradizioni lapiriane e della vocazione internazio­nale di Firenze. La città dell’«I care», del «mi interessa», del «mi prendo cura». È come se la Von der Leyen ci avesse richiamati all’anima profonda della città e alla necessità di farla valere nel consesso internazio­nale. Un’opportunit­à da non perdere anche se l’Europa, per ora, non sembra aver cambiato la propria rotta.

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