LA DISTANZA TRA L’EUROPA E BARBIANA
Ci risiamo. Allentata la presa mediatica sulla pandemia, tornano di scena gli sbarchi di migranti con Salvini e la Meloni che inveiscono, il governo che rassicura, chi predica accoglienza a prescindere e chi invoca muri senza indulgenza e sullo sfondo l’Europa divisa tra egoismo e impotenza. Copione pre Covid, vecchio, arciconosciuto. Con una novità però che potrebbe risultare importante, promettente. La novità si chiama Ursula Von der Leyen, la presidente della Commissione europea che nei giorni scorsi, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, che si teneva all’Istituto europeo di Fiesole, ha citato «I care», la scritta che campeggiava nelle pareti della piccola scuola di Barbiana, tenuta da un prete, don Lorenzo Milani, come bandiera dell’Europa: «I care significa assumere responsabilità. Gli europei hanno dimostrato con le loro azioni cosa significa. Questo deve essere il motto dell’Europa. We care», ha spiegato Von der Leyen in collegamento con Fiesole.
Ma dall’Europa degli egoismi nazionali e populisti all’Europa del «mi interessa, mi sta a cuore» il passo è lungo — lunghissimo. La prima a saperlo forse è la stessa Von der Leyen. E, quasi per ironia della sorte, il riemergere prepotente della questione immigrati sottopone la sua proposta alla verifica dei fatti, della politica e anche della Storia. Come si sa, la questione immigrazione è complicata, ma spetta all’Unione europea porsi il problema del suo governo.
Evitando che il peso degli sbarchi gravi solo sui Paesi in cui essi avvengono (quando avvengono e non naufragano invece nella tragedia mediterranea).
Ma la questione riguarda da vicino anche noi, nel senso che «I care» ha racchiuso il senso dell’esperienza pedagogica e dell’esperienza di vita di don Milani, un prete fiorentino, di quella Firenze dei «folli di Dio», tanta cara a papa Francesco. La citazione della Von der Leyen ci ha inorgoglito e resi forse più esigenti e severi con quanti quella scritta, dopo averla assunta, dovessero tradirla. Ecco perché Firenze ha ora più voce in capitolo, più autorevolezza per chiedere sull’immigrazione all’Europa uno scatto di responsabilità nel segno del discorso della Von der Leyen. E questo scatto può essere favorito anche da un altro fiorentino, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli.
Nei mesi scorsi il cardinale di Firenze Giuseppe Betori ha radunato a sé il vasto e diviso mondo dei seguaci di don Milani. Così pare auspicabile che dalla Chiesa fiorentina e da quel gruppo milaniano , in nome dell’«I care» di Barbiana, si levi un appello forte all’Europa e ai suoi vertici — Von der Leyen e Sassoli — perché finalmente si affronti la questione delle migrazioni di massa. E altrettanto può fare Palazzo Vecchio sul solco delle tradizioni lapiriane e della vocazione internazionale di Firenze. La città dell’«I care», del «mi interessa», del «mi prendo cura». È come se la Von der Leyen ci avesse richiamati all’anima profonda della città e alla necessità di farla valere nel consesso internazionale. Un’opportunità da non perdere anche se l’Europa, per ora, non sembra aver cambiato la propria rotta.