«Piango il disastro della mia India E porto il Maggio dentro gli Uffizi»
Zubin Mehta mercoledì festeggia sul podio i suoi 85 anni
Zubin Mehta siede su un elegante divano, nell’accogliente salottino del suo studio, al quinto piano del Teatro del Maggio. È sorridente, tranquillo; la serenità appagata di chi è in là con gli anni ma ha vissuto con piena soddisfazione. A guardare l’agenda dei suoi impegni in questi giorni, chiunque al suo posto sarebbe divorato dall’ansia. Il maestro sta provando due opere in contemporanea: Tosca, che dirigerà in forma di concerto il 19 (ore 19) nella Cavea del Teatro, con Saioa Hernàndez, Francesco Meli, Luca Salsi nei ruoli principali, e che poi porterà a Salisburgo, sempre con i complessi del Maggio ma con cast diverso; e la Forza del destino
(dal 4 giugno, ore 20), nuovo allestimento firmato da Carlus Padrissa, uno dei fondatori della celebre compagnia della Fura dels Baus. Senza contare che fra giugno e luglio, dirigerà l’Orchestra del Maggio nelle quattro Sinfonie e in tutti i concerti di Brahms, con solisti Pinchas Zukerman, Daniil Trifonov, Daniel Barenboim: «Un modo per portare al Maggio e a Firenze i grandi solisti internazionali, un’idea del sovrintendente Pereira che mi trova pienamente d’accordo», dice il maestro. Con Tosca, il Teatro del Maggio festeggerà gli 85 anni di Mehta, il suo direttore onorario a vita, compiuti lo scorso 29 aprile.
Maestro, al di là dell’età, lei possiede un’energia invidiabile. Qual è il segreto?
«Mi sento sempre giovane, vado avanti. Dirigere è la mia vita, non conosco altri mestieri. È vero, la mia famiglia voleva che diventassi medico. Ma io ho sempre scelto la strada della musica. E non ho mai incontrato difficoltà: esperienze, incarichi, è sempre avvenuto in maniera naturale».
Tosca è stata la prima opera in assoluto che ha diretto nella sua carriera…
«È vero, a Montreal, nel 1963. E il secondo titolo d’opera della mia carriera al Maggio, dopo Traviata. Ho vissuto con grande emozione l’allestimento indimenticabile che Jonathan Miller realizzò qui, nel 1986 (quello che ambientava la vicenda nella Roma occupata dai nazisti, uno scandalo allora ndr). Di Tosca mi ha sempre colpito la capacità di Puccini di descrivere il male, rappresentandolo nella figura di Scarpia. E questo si avverte soprattutto nel secondo atto: non ho mai ritrovato in musica qualcosa di così sconvolgente. Non è la semplice storia d’amore fra Cavaradossi e Tosca. E poi è l’unica opera di Puccini realmente ambientata in Italia: si sentono il calore e le atmosfere tipicamente italiane, soprattutto nel terzo atto».
Maestro, anche lei, come tutti, ha vissuto il dramma della pandemia: quando è scoppiata, cosa ha pensato?
«Il mio pensiero e le mie preoccupazioni sono andati subito alla mia terra, l’India. Lì, durante la prima ondata, la situazione non era inizialmente così drammatica. Adesso è un disastro, non ci sono vaccini disponibili. Muoiono migliaia di persone al giorno. Sono molto addolorato per questo. E poi, mi è mancata tanto la musica. Ma adesso vedo che la situazione sta migliorando. I teatri e le sale da concerto stanno riaprendo: in questi giorni, durante il Maggio ho assistito ai concerti dei miei colleghi Chung e Muti, e nel pubblico ho visto tante persone felici».
Uno degli espedienti, per rimediare alla mancanza di concerti e opere con il pubblico presente, è stato quello dello streaming. Sulla piattaforma ItsArt verranno trasmessi anche il Così Fan Tutte e l’imminente Forza del Destino da lei diretti. Cosa ne pensa?
«È un’iniziativa positiva, anche se non può sostituire l’esperienza del concerto o dell’opera dal vivo. Bisogna avere in casa apparecchi di alta qualità sonora per poter apprezzare lo streaming. Ma spero che, parallelamente, possa continuare: lo streaming garantisce la diffusione di un concerto o di uno spettacolo in ogni angolo del mondo».
Lei come direttore è cittadino del mondo, abita a Los Angeles e ha una seconda casa a San Casciano Val di Pesa, nei dintorni di Firenze. Qual è la realtà alla quale si sente più legato?
«Io sono indiano, perché è lì, a Bombay, che ho le mie origini; ma sono anche fiorentino, americano, israeliano, e viennese, perché a Vienna mi sento sempre come a casa. Pensi che come direttore, ho conosciuto ben tre generazioni differenti dei Wiener Philharmoniker, così come dei Berliner».
Si parla di una rinascita post-pandemia, ma le città, e Firenze è certo una di queste, sono ancora deserte, il flusso turistico è ben lontano da quello di una volta. La situazione si risolverà?
«Cambierà, in senso positivo. Il premier Draghi e il sindaco Nardella hanno preso una strada giusta, quella di esigere da tutti la disciplina. Se penso che quando sono andato a Milano, per un concerto alla Scala, in piazza del Duomo non c’era un solo piccione… e quando l’Inter ha vinto lo scudetto, quella stessa piazza era piena zeppa di persone (scuote la testa, ndr). Firenze è una città con un grande amore per la cultura e per la musica, e questo la aiuterà. Spero che si possa realizzare presto un progetto al quale stiamo lavorando: portare i professori del Maggio a suonare negli Uffizi. Anni fa abbiamo suonato Mozart nella sala del Botticelli. Fu un’esperienza meravigliosa».
Maestro Mehta, lei ha diretto gli autori e i titoli più diversi, ma ha ancora un sogno nel cassetto? Salire sul podio per un’opera finora mai affrontata?
«Vorrei tanto dirigere il Parsifal di Wagner. E anche la
Lulu di Berg. Ma soprattutto
Parsifal. Devo solo trovare il tempo per poterlo studiare».
❞ Quando è iniziata l’emergenza sanitaria il mio primo pensiero è andato all’India, la mia terra dove adesso è un disastro. Che dolore Il mio sogno? Dirigere il Parsifal ma devo trovare il tempo di studiarlo