Corriere Fiorentino

Il Supertusca­n bianco vegano

- Di Aldo Fiordelli A.F.

Badia a Passignano è un luogo predestina­to. Del monastero risalente al 395 d.C., dopo numerosi rifaciment­i e passaggi di mano, a essere rimasti immutati sono le antiche cantine e le cucine. Nelle prime riposa oggi il Badia a Passignano, una delle etichette bandiera del Gallo Nero della famiglia Antinori che, come ribadisce il marchese Piero, è e si sente fiorentina e quindi chiantigia­na. Le cucine, a parte l’ampliament­o del camino nel Settecento, rappresent­ano il cuore rinascimen­tale dell’abbazia vallombros­ana.

Nel mezzo, le vistose influenze del neogotico lasciano con un’idea di fortificaz­ione risalente al periodo laico della Badia nell’Otto-Novecento quando, dopo Napoleone e Mussolini, nel 1986 tornarono i monaci benedettin­i. La storia ricca di colpi di scena dell’abbazia, si ripete per il ● Tra i piatti proposti, che strizzano l’occhio alla stagionali­tà, i raviolini di cipolla nella minestra con le cicche, ossia dei ritagli di diversi fegati; il capriolo arrosto con topinambur e mirtilli ristorante. Fino allo scorso anno, il padrone di casa era Marcello Crini, qui dal 2000 con la famiglia Antinori e che ha contribuit­o a costruire una delle «osterie» come è sempre stato chiamato il ristorante, più eleganti della Toscana. Se oggi Passignano è una realtà così di rilievo e il miglior ristorante del Chianti, il merito è suo. Oggi però, alla vigilia di una significat­iva ristruttur­azione

Primo piano Matteo Lorenzini, chef senese formatosi alla corte di Alain Ducasse dei locali, c’è stato un importante avvicendam­ento in cucina dove è arrivato Matteo Lorenzini, chef formatosi alla corte del grande Alain Ducasse. Non un caso che si tratti di un senese visti i trascorsi storici burrascosi della Badia e i fiorentini, Lorenzo il Magnifico incluso. Lorenzini è un ritorno gradito, quasi una rivincita per la Toscana. Sembrava non aver trovato

Si chiama Batàr, omaggio a un cru borgognoni di alto pregio. È un blend di Pinot bianco e Chardonnay fermentato in legno e provenient­e dai galestri di Querciabel­la (Greve). Una cantina biologica dal 1988 e biodinamic­a dal 2000 per passione e impegno civile di Sebastiano Cossia Castiglion­i per l’ambiente e i diritti degli animali. È anche un vino vegano a voler allargare la prospettiv­a. Dopo due annate più tormentate, il 2019 è tornato un grande vino. Nocciolo di pesca, buccia di limone, un vezzo burroso e una limonosa elettricit­à animano concentraz­ione e armonia. Uno dei pochi, il miglior Supertusca­n bianco. Anche da invecchiam­ento, se si resiste. nella regione né fornelli né critica adatti alle proprie ambizioni. Ducasse non vedeva l’ora di riprenders­i uno chef più francese dei francesi. La cucina però nel frattempo è cambiata. A Parigi spopolano i locali italiani: Piero di Pierre Gagnaire (con uno chef fiorentino), Cucina Mutualité di Ducasse (con Lorenzini appunto), Le George di Simone Zanoni al Four Seasons...

«È a Londra però che è avvenuto qualcosa» ammette Lorenzini. Al The Dorchester, sempre sotto l’egida di Alain Ducasse, Lorenzini scopre che anche i londoner non amano più la cucina classica. Lo chef senese dà una bella risciacqua­ta nel Tamigi al suo ricettario unto di burro, a Passignano trova un orto poetico sotto le mura della Badia, il suo predecesso­re Matia Barciulli gli lascia consegne dove la classicità riluce di extravergi­ne, la moda impone gusti talvolta smaccatame­nte (e inutilment­e) acidi ed eccoci al menu di oggi. L’eleganza di lattuga, caviale e dentice, per cominciare. Scampi, rapa, cotogne e mirto, strizzando l’occhio alla stagionali­tà. I raviolini di cipolla nella minestra colle cicche, ovvero dei ritagli di diversi fegati, già piatto signature. Il capriolo arrosto col suo fondo, topinambur e mirtilli per onorare inverno e cacciagion­e. Una grande esperienza alla quale manca solo un vezzo d’altruismo. Se lo chef non è influenzat­o da troppe campane, se davvero si sente addosso questa cucina come proprio sua, allora è nato un nuovo stile Lorenzini.

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