Una nuova impennata di ricoveri Effetto Covid, chirurgie dimezzate
Altri 15 morti, 33 pazienti in più, 9 nelle terapie intensive L’assedio costringe gli ospedali a sacrificare l’altra sanità
Gli ospedali sono sempre più assediati dal Covid. E mentre si cercano posti per i pazienti contagiati, vengono sacrificate le altre discipline mediche. A partire dalla chirurgia non urgente, ormai dimezzata. Ieri, a fronte di 16.290 nuovi casi (con un’incidenza di positivi al tampone del 77%) e a 15 nuovi decessi, gli ospedali hanno registrato una nuova impennata: i pazienti Covid sono ora 1.230 (33 in più), di cui 122 in terapia intensiva (9 in più). Oltre ai tassi di occupazione dei reparti, al 21,4% per le corsie ordinarie (la Zona arancione è al 30%) e al 22% per le rianimazioni (soglia già superata), a colpire sono i 16 nuovi ricoverati in terapia intensiva (con 6 dimissioni e un decesso). Gli ospedali navigano a vista, con appena 18 posti subito liberi in tutta la regione. Così si corre ai ripari: al Serristori di Figline domani saranno attivati 10 letti Covid, per poi arrivare a 24 nei prossimi giorni.
A soccombere sono le attività chirurgiche non urgenti. Non solo per i posti letto: da un lato gli anestesisti rianimatori devono lasciare le sale operatorie per spostarsi nelle terapie intensive Covid, dall’altro la carenza di infermieri e oss (molti sono contagiati) costringe a dirottare anche loro. Come a Figline, dove la sala operatoria chiude per inviare i medici nella rianimazione di Ponte a Niccheri. «Il taglio alla chirurgia programmata non urgente è già attorno al 50% — spiega Stefano Michelagnoli, direttore della chirurgia dell’Asl Centro — La chirurgia urgente e quella traumatologica restano al 100%, quella oncologica ci si avvicina, anche se c’è qualche sofferenza per i pazienti anche positivi
al Covid e che determinano qualche difficoltà organizzativa». Al San Pietro Igneo di Fucecchio, il centro di eccellenza dell’Asl per l’impianto di protesi, «da una settimana la chirurgia è ferma — dice ancora Michelagnoli — Ogni ospedale dell’azienda ha 70, 80 infermieri contagiati, quindi quelli che possono lavorare vengono dirottati dove c’è bisogno». Se la situazione migliorasse gli interventi potrebbero riprendere, ma non è escluso che Fucecchio possa tornare ad essere un centro di cure intermedie Covid. Scenario non molto diverso a Careggi, dove la riduzione della chirurgia non urgente è al 30%. Restano garantiti, spiegano dall’ospedale, gli interventi cardiaci, neurologici, traumatologici,
oncologici e tempo dipendenti (ictus, infarto). «Il problema non è tanto il numero dei ricoverati Covid — dice il Dg Rocco Damone — Ma il tasso di infezione tra i dipendenti, pur asintomatici, che condiziona le attività».
Da uno studio dell’Agenzia regionale di Sanità su sei ospedali toscani emerge che su 476 pazienti Covid presi in esame, 153 sono contagiati ma asintomatici e ricoverati per altre ragioni. Si tratta del 32%, uno su tre. Traumi, infarti, ictus, decadimento cognitivo, altre infezioni, insufficienza epatica sono le cause elencate dai sanitari: i pazienti arrivano in pronto soccorso per queste patologie e risultano anche positivi al coronavirus. Molti di loro hanno bisogno di un ricovero ospedaliero, ma tanti altri vanno ad aumentare la pressione sui reparti pur avendo necessità di assistenza minime. Così, ieri, il governatore Eugenio Giani ha ribadito l’obiettivo di trasferire i pazienti Covid a bassa intensità nei centri di cure intermedie per dare ossigeno agli ospedali: «Lo spostamento dei pazienti asintomatici nelle cure intermedie è già iniziato, ma intendiamo velocizzarlo». Anche le cure intermedie e le low care sono però in sofferenza: secondo i dati della Regione ieri c’erano 8 posti liberi in tutta la Toscana, più altri 23 attivabili in 5 giorni. Ma per Giani la situazione «è sotto controllo».