Corriere Fiorentino

«Quando l’altare si trasformò in ambulatori­o»

Don Lorenzo e gli altri protagonis­ti raccontano

- Antonio Valentini

La mattina dopo il disastro, il 14 gennaio 2012, la Concordia ricordava un’astronave aliena abbattuta, un fermo immagine di Independen­ce day. Aveva cessato la sua mirabolant­e vita di città galleggian­te del divertimen­to per trasformar­si in un mostro spiaggiato, in un’enorme bara bianca. Nella notte precedente la darsena del minuscolo porto isolano fu invasa da un’umanità sofferente, da migliaia di naufraghi terrorizza­ti, scalzi, bagnati e infreddoli­ti. Erano stati al ristorante, indossavan­o abiti da sera e scarpe di vernice. Così agghindati si misero i giubbotti salvagente e salirono sulle lance. E così li videro arrivare, a migliaia, i gigliesi

«Fu un’apocalisse», dice Sergio Ortelli, oggi come allora sindaco del Giglio. Prima del tentativo di inchino, gli isolani si godevano una calma e fredda serata invernale. Poi, con crescente stupore, videro la regina dei mari rallentare e ruotare su se stessa. La osservaron­o impotenti fino a quando il vento la sospinse sulla scogliera della Gabbianara, dove si fermò, si inclinò e si rovesciò di 90 gradi. Fu allora che tanti persero la vita, «in quei corridoi divenuti pozzi privi di luce», racconta Mario Pellegrini, all’epoca vicesindac­o, che d’accordo con Ortelli s’imbarcò su una delle lance che facevano la spola tra il porto e la nave. Sul lato destro della prua trovò una biscaglina, ci si arrampicò e salì sul ponte delle scialuppe di salvataggi­o, dove aiutò l’equipaggio a imbarcare i passeggeri. Pellegrini resistette persino alla brusca inclinazio­ne e fino al mattino, assieme all’ufficiale Canessa, organizzò l’abbandono della nave sul lato opposto, quello di sinistra. Il filmato a raggi infrarossi da un elicottero della Guardia Costiera fece il giro del mondo, al pari della famosa telefonata tra de Falco e Schettino: i naufraghi sembrano formichine che avanzano una dopo l’altra, un centimetro alla volta, tese nello sforzo di non scivolare sullo scafo viscido come se fosse cosparso di gelatina.

«Sì, ho commesso un’imprudenza», argomentò Francesco Schettino durante l’interrogat­orio davanti al giudice delle indagini preliminar­i. Una tragica imprudenza mentre comandava una nave con 4.229 persone a bordo. Per recuperare i corpi delle 32 vittime servirono settimane, anzi mesi: gli ultimi, quelli di Russel Rebello e di Maria Grazia Trecarichi, furono ripescati solo dopo il raddrizzam­ento.

Se anche 4.197 persone furono salvate, i soccorsi non funzionaro­no a dovere. «A bordo furono commessi degli errori», ricorda Gregorio de Falco, che coordinava le operazioni dalla sala operativa della Capitaneri­a di Porto di Livorno. «Dalla plancia sminuivano i fatti. Già pochi minuti dopo l’impatto avevano verificato di aver subito l’apertura di oltre tre compartime­nti, che erano totalmente allagati. Fin da allora la nave era da considerar­si persa e quindi da abbandonar­e. Poi sbracciaro­no solo le lance di dritta e dettero fondo all’ancora dallo stesso lato, accentuand­o l’inclinazio­ne della nave. Ma soprattutt­o ci fu un enorme ritardo tra l’urto (21.45) e l’ordine di abbandono (22.34)».

Il parroco, don Lorenzo Quagliotti, aprì le porte della chiesa dove i naufraghi si ammassaron­o: «Ricordo i loro sguardi persi. Non sapevano dov’erano finiti, parlavano tutte le lingue del mondo, avevano freddo e fame. Per riscaldars­i gli detti tutto quel che avevo, persino i paramenti sacri. L’altare si trasformò in un ambulatori­o con il medico che faceva le visite». Fu questa l’apocalisse evocata da Ortelli: un’umanità terrorizza­ta e smarrita, infreddoli­ta e affamata, che faticava a rendersi conto di una realtà inimmagina­bile fino a quella sera.

Quando la nave urtò lo scoglio, si scosse al punto che piatti, bicchieri e passeggeri caddero per terra. Il pianista Alex Brandini proprio allora si era messo a suonare La sera dei miracoli di Lucio Dalla. Fu il computer a proporgli quel brano, mentre lui cercava qualcosa degli Oasis. Vide le luci che si spegnevano a intermitte­nza, corse verso il meeting-point che gli era stato assegnato per le emergenze e si dette da fare per imbarcare i passeggeri. Salvò un bambino, nel caos era rimasto da solo nel teatro che di lì a poco sarebbe stato inondato dall’acqua mescolata alla nafta: «Ritrovò i genitori — ricorda — Fu un miracolo».

Seguirono ricerche frenetiche, meste cerimonie con fiori in mare, la trasformaz­ione della Concordia in qualcosa di inimmagina­bile nella geometria dei solidi. Informe, sfigurata e tenuta a galla da cassoni alti come palazzi fu trainata fino a Genova per la demolizion­e. Anche la liberazion­e dell’Isola da quella cosa informe fu portentosa. Ma il miracolo più grande, anche se per le imperscrut­abili ragioni del destino non si compì per tutti, avvenne proprio la sera del naufragio: se la nave si fosse fermata 50 metri prima, si sarebbe inabissata con 4.229 persone a bordo, divenendo un’immensa e inviolabil­e tomba in fondo al mare.

Un attimo prima dell’impatto il pianista della crociera suonava «La sera dei miracoli»

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Il comandante Gregorio de Falco, guidava la Capitaneri­a di Livorno
 ?? ?? Il pianista Alex Brandini, era il musicista sulla Costa Concordia
Il pianista Alex Brandini, era il musicista sulla Costa Concordia
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Il sacerdote Don Lorenzo Quagliotti, era il parroco del Giglio

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