Corriere Fiorentino

La «gente tosca» di Strapaese

Il libro Il rifiuto della seduzione della città e la celebrazio­ne dell’Italia rurale in accordo con la visione del fascismo. Il volume di Giubilei ricostruis­ce quelle «battaglie», iniziate a Colle Val d’Elsa nel 1924

- Di Luca Scarlini

Niente spiega un certo clima degli anni Trenta italiani meglio della sinfonia Strapaese: impression­i dal vero, che Carlo Alberto Pizzini compose nel 1933. In quella musica ci sono ritornelli di brani popolari da tutte le parti d’Italia, scritti con uno stile da banda, tra riff di fisarmonic­a e strumenti a fiato che imperversa­no. Quel termine indicava la volontà di rifiutare la seduzione della città, ribadendo con violenza i valori della provincia e celebrando in ogni suo aspetto l’Italia rurale, in accordo con una visione del reale che si dichiarava drasticame­nte fascista.

Ora Francesco Giubilei ricostruis­ce questo agitato mondo nel suo recente volume Strapaese. L’Italia dei paesi e delle chiese di campagna. Da Maccari a Longanesi, da Papini a Soffici, da poco edito dalla casa editrice Odoya. Qui si scopre come il termine fu coniato sulla rivista Il Selvaggio che uscì a Colle Val d’Elsa il 13 luglio 1924. Il direttore era Angiolo Bencini, ras di Poggibonsi, ex-ufficiale e vinaio con ambizioni letterarie. Il proclama era chiaro: «Strapaese, o genti porche/ Darà il sacco a Novaiorche/ Da Colle d’Elsa fino a Mosca/ trionferà la gente tosca». La provocazio­ne, l’esibizione muscolare, l’attacco diretto ai propri nemici letterari e politici, definiva il foglio colligiano nella dimensione di un «fascismo anarchico» come indicava Indro Montanelli. In primo luogo si dichiarava necessario recuperare una tradizione toscana, di cui erano pilastri Dino Campana, Aldo Palazzesch­i,

Federico Tozzi e Ottone Rosai. Il programma politico era altrettant­o chiaro: «battaglier­o fascista. Marciare non marcire».

Le furie squadriste terminano quando la sede si sposta a Firenze e diventa direttore Mino Maccari, che già collaborav­a a quelle pagine, destirosi nato a trovare un ruolo centrale nelle vicende artistiche e culturali del Ventennio, con una predilezio­ne per la satira e l’ironia. In una girandola di pseudonimi, quello che definisce meglio il suo vivace personaggi­o è Orco Bisorco. In questa veste si dedica a diatribe di ogni tipo e sferra numeattacc­hi a colui che è percepito come maggiore nemico, Massimo Bontempell­i, portatore di una visione che fu subito detta «stracittad­ina», ossia cosmopolit­a nella forma e modernista in spirito. Il filo principale è quella della difesa della vita rurale vista come chiave della «vita italiana che va difesa dalle importazio­ni di civiltà straniere che tendono a distrugger­la», in una visione isolazioni­sta che si articola in diversi accenti.

Nei numeri 15-16 del 1929 giunse la penna aguzza di Curzio Malaparte a intonare La Cantata di Strapaese, inno a una visione del reale che dalla Toscana si diffondeva in tutto il paese. Nei tempi seguenti Il Selvaggio cambiò casa, a Torino dal 1931 e poi a Roma, sempre con Maccari come direttore e sempre portando dietro una ventata di scompiglio. Su quelle pagine esordisce Romano Bilenchi con l’accesa, espression­ista Vita di Pisto, che va incontro alla censura. Maccari aveva adottato uno strillo sulla fascetta che voleva provocare i lettori: «Questo libro è andato a ruba nel Massachuse­tts, trenta edizioni in poche settimane, crisi di gabinetto e sommosse». La pubblicazi­one proseguì fino al 1935, quando infine il regime la chiuse per posizioni reputate contrarie all’attacco italiano in Africa Orientale.

Il filo principale della rivista, mentre la redazione girovagava da un luogo all’altro d’Italia era quello della fedeltà alle origini. Essa si ripercuote­va nella ricchissim­a scelta di incisioni che adornavano la pubblicazi­one. Ci sono numeri speciali dedicati a Luigi Bartolini, a Renato Guttuso, a Leo Longanesi che si era dichiarato entusiasta della pubblicazi­one e si era offerto come collaborat­ore, e a Orfeo Tamburi. In altre edizioni compaiono Carlo Carrà, Giorgio Morandi e Giuseppe Viviani. Insomma tutti coloro che rappresent­avano la realtà, contro le avanguardi­e, e con una continua opposizion­e al mondo della metafisica di Giorgio De Chirico. Lo spirito tutelare rimane però Ottone Rosai, visto come un capofila sia per l’elemento polemico (quello che compare nel suo Libro di un teppista in cui racconta la sua vita negli arditi del Grappa senza retorica).

 ?? ??
 ?? ??
 ?? ?? Gallery Ardengo Soffici, «Viottola» (Museo Soffici, Poggio a Caiano) e dall’alto: Mino Maccari e Curzio Malaparte
Gallery Ardengo Soffici, «Viottola» (Museo Soffici, Poggio a Caiano) e dall’alto: Mino Maccari e Curzio Malaparte

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy