STRATO SU STRATO, FINO A SOLITUDINI MENO TORMENTATE
Mi scrive una lettrice su Instagram evocando via della Pastorella e invitandomi ad ammettere che è «meglio di Bellosguardo». Ora, è vero che chi scrive ha un debole per il colle in questione, ma non mi piacciono molto le classifiche, e non tanto per la retorica della «Firenze tutta bella», parente di quella della «Città più bella del mondo» (crogiolandoci sulla pura estetica, tendiamo a dimenticare che la bellezza di una città la fanno anche le persone e le esperienze che la attraversano — non andiamo a Berlino per vedere i condominî di Kreuzberg, per capirci), quanto perché, se c’è una verità, invece, indiscutibile, è che Firenze è tutta diversa: tante sono le stratificazioni storiche, che ogni strada è discorso a sé, e questo vale anche per le cosiddette «vie dei colli», per quanto la ricorrenza di una certa flora e di una certa dolcezza nel panorama possa far credere il contrario.
È con questo spirito che sono andato a Settignano, e da lì sono salito per via della Pastorella, la quale, benché si lanci effettivamente nella campagna, non deve il suo nome a figure reali, bensì a una manieristica statua secentesca (il Seicento: forse il secolo che ha lasciato lo «strato» più sottile nella città, del resto lontana da esso per indole) nel giardino di villa Falorsi-Gargiolli, o da un bassorilievo in smalto, dal medesimo soggetto, sull’esterno della villa, ipotesi questa meno accreditata (parrebbe posteriore al nome della via, e non viceversa). Salendo, ecco altri «strati fiorentini»: un momento di sviluppo abitativo primo-novecentesco, non privo di grazia visto come si integra con lo sfondo, seguito da villette figlie degli anni del boom, e poi ancora da muri padronali dell’Ottocento; poi, la strada si fa strettoia capace di sfidare molti mezzi a motore, e superato l’ostacolo prende a correre in altura diventando del tutto rurale, con vasti uliveti e bordature di rovo, finché non cambia addirittura in strada bianca. Impossibile, allora, una «sfida» con Bellosguardo: se là la bellezza è strutturata, cesellata, adatta a poeti solitari fedeli alla metrica (che infatti ci vivevano), qui siamo in un campo immaginario più rustico (ancorché sempre levigato), adatto a solitudini meno tormentate e più «in salute», ma non per questo incapace di rinfocolare il nostro latente senso di superiorità: ecco infatti spuntare il tabernacolo con Madonna Bambino e Angioli in bassorilievo, datato 1459…