Il duce e i suoi benevoli fan
Il libro/1 La figura di Mussolini nel saggio di Cazzullo che sarà presentato martedì alla Feltrinelli Red «Oggi sono tanti quelli che non sanno o non vogliono sapere che il fascismo è stato una tragedia»
«Èovvio che oggi in Italia non ci sia il fascismo, né la violenza diffusa. Però…». Ecco, di fronte a questo «però» si aprono numerose strade e pensieri nella testa di Aldo Cazzullo. Lo scrittore e giornalista del Corriere della Sera martedì sarà alla Feltrinelli Red di Firenze per presentare il suo libro Mussolini il capobanda (Mondadori) uscito in occasione del centenario della marcia su Roma. «Firenze è una città molto importante per la storia dell’antifascismo — riflette — perché qui la Resistenza assunse un carattere plurale e ha espresso figure bellissime come i fratelli Rosselli, il vescovo Elia Dalla Costa, il democristianissimo Bartali…». Mentre risponde a telefono, Cazzullo sta passando sotto l’obelisco del Foro Italico a Roma. Alza la testa, osserva la scritta «Dux». E pensa: «A Berlino non ho trovato nessuna scritta che inneggia a Hitler. Qui sì. Il punto è che gli antifascisti in Italia sono tanti ma non tantissimi, i nostalgici per fortuna davvero pochi, ma la maggioranza degli italiani non ha una memoria negativa del fascismo e non so come sia possibile se uno in buona fede studia cosa è stato. Il bilancio del fascismo è stato fallimentare sotto ogni punto di vista, compresi quelli a cui si riferisce la famosa ed errata frase “ha fatto anche cose buone”». Eccolo il primo «però». E la conseguente esigenza — da cui nasce il libro — «di dire che ci si è raccontati una storia immaginaria secondo la quale prima del ‘38 il fascismo non fosse qualcosa di orribile quando in realtà le leggi razziali e la guerra sono stati la conseguenza logica di ciò che Mussolini e il fascismo erano già».
L’ascesa di Giorgia Meloni ha generato in qualcuno la paura di un ritorno dell’auto
ritarismo. Paura fortunatamente infondata.
«Che viviamo in una democrazia è evidente. Però la fiamma tricolore che campeggia nel simbolo di Fratelli d’Italia è lo storico simbolo del neo e del post-fascismo. Fini l’aveva tolta ed è arrivato a raccogliere lo zero virgola qualcosa, Meloni l’ha rimessa. Ecco, io con questo libro non volevo rivolgermi al lettore di sinistra ma agli italiani tutti, perché l’antifascismo non è qualcosa di sinistra come purtroppo molti pensano».
Tra i leader di destra è forse la più lontana dall’autoritarismo, basta vedere le posizioni su Putin. Berlusconi e Salvini a volte sembrano guardare ad alcuni autocrati con occhio più benevolo.
«Nessuno dei tre ha qualcosa a che fare col fascismo. Però dei distinguo si possono fare: Berlusconi ha detto che il confino era una vacanza, e non mi pare abbia mai sentito forte il discorso antifascista. Salvini ha corteggiato Casapound e Forza Nuova mentre Bossi andava alle manifestazioni del 25 aprile. Meloni viene dal Movimento Sociale ma dice che “non ha simpatie per il fascismo”. Bene. Magari però servirebbe una condanna, qualcosa di più forte di una “mancata simpatia”. Perché non toglie la fiamma dal simbolo? Per motivi elettorali? Ho il sospetto che se l’avesse tolta avrebbe guadagnato un 2% di voti in più da qualche vecchio democristiano. Per i giovani il discorso è diverso: a loro non interessano affatto queste questioni».
La preoccupa avere come sottosegretario Bignami che si è fatto fotografare vestito da SS? O la preoccupa di più il modo in cui Donzelli lo ha difeso: «Anch’io mi sono vestito da Minnie per Carnevale»?
«Mi preoccupo per loro, non per me. Certe cose non si fanno neanche per scherzo. Avrei evitato di fare sottosegretario uno con quella foto lì… tutto il mondo non aspettava altro per prendere in giro gli italiani e dipingerci come macchiette».
Viviamo davvero in un’epoca post-ideologica o è un luogo comune? Se anche la Toscana è diventata contendibile dalla destra...
«Le ideologie non sono morte. Fratelli d’Italia è un partito molto identitario e ideologico. Giorgia Meloni non usa la
d
parola “Paese” ma “Nazione”. A me piacerebbe che pensasse a costruire una Nazione europea, senza la quale sarà impossibile confrontarsi con Cina e Usa».
Quali sono i segnali di residui di fascismo nel presente?
«I fascisti, pur pochi, ci sono. Ma ci sono anche i terrapiattisti, quindi di cosa ci stupiamo. Però sono tanti quelli che non sanno o non vogliono sapere che il fascismo è stato una tragedia e che Mussolini era una persona cattiva. Ricordo quando andai al liceo Giulio Cesare per una visita di orientamento per mio figlio: mi colpirono le tante scritte neofasciste sui muri e il fatto che gli altri genitori mi guardassero come fossi pazzo, stupiti che io me ne stupissi. L’unica a prendermi sul serio fu la preside che disse: non è che i nostri studenti sono neofascisti, è che i neofascisti considerano questa scuola come un territorio da presidiare. Poi penso agli stadi: quand’ero ragazzo c’erano curve di destra e di sinistra, oggi sono tutte di destra e usano la parola “ebreo” come insulto. E quello è un vero segno di fascismo».
Non è che se l’antifascismo non è diventato patrimonio comune perché identificato come «di sinistra», è anche colpa della sinistra? Se non avesse voluto appropriarsene magari oggi di fascisti ce ne sarebbero molti meno.
«È vero, negli anni 70 ai fascisti non era riconosciuto nemmeno il diritto di parlare, fu un grande errore. L’antifascismo dovrebbe essere patrimonio della Nazione e non di una fazione. Ma c’è qualcosa di più profondo: l’idea italiana dell’auto-assoluzione. Non solo siamo stati fascisti, noi il fascismo lo abbiamo inventato ed esportato in tutto il mondo, dalla Germania alla Grecia, dal Cile all’Argentina e al Portogallo. Non rimuoviamo la storia, raccontiamola».
Oltre gli schieramenti L’antifascismo dovrebbe essere patrimonio della Nazione e non di una fazione