IL TEMPO DEL È SCADUTO ORMAI DA ANNI MA LA POLITICA È DISATTENTA
Negli ultimi decenni i ruoli genitoriali nelle culture occidentali sono fortemente cambiati. Le madri oggi sono sempre più orientate verso la realizzazione personale e il lavoro. Fino al secolo scorso il padre era una figura fondamentalmente assente dal percorso di crescita dei figli e il cui ruolo educativo si giocava sostanzialmente attraverso i comandi e le punizioni (tipica la frase materna: «… se non la smettete, stasera lo dico al babbo!»). Il padre quindi era qualcuno che si vedeva poco, suscitava paura, con le sgridate e i castighi, creando un senso di disaffezione e lontananza affettiva.
Ma il tempo del padrepadrone è finito, l’autoritarismo ha perso legittimità: da anni ormai ci siamo interrogati su come recuperare relazioni affettive, intime con i figli, nell’intento di crescere bambini più sereni. Oggi i padri ci sono, sono presenti nella vita dei figli e sono alla ricerca di un modo propriamente «paterno» per aiutarli a crescere. Gli uomini che intendono vivere la genitorialità a pieno ci sono, mancano ancora invece modelli sociali condivisi che la rendano attuabile. Sicuramente i padri di oggi vanno verso una nuova autorevolezza, connotata da una maggiore affettività, creatività e attenzione alla comunicazione. Ma, mentre ci si aspetta la transizione da donna a madre, per l’uomo non ci sono analoghi indicatori sociali e culturali del ruolo paterno. Bisogna ancora lavorare per superare il modello secondo cui il padre viene visto come un «aiutante della madre», privo di una sua identità nel campo della cura. Il padre ha un ruolo fondamentale già prima della nascita, come dimostrato durante la pandemia, in cui la sua esclusione da visite, ecografie, corsi di accompagnamento alla nascita, sala parto e degenza, ha creato un vuoto e lacune profonde sia per le donne che per gli uomini. Dopo la nascita può partecipare attivamente a tutte le attività quotidiane del neonato, come il cambio del pannolino, l’allattamento (al biberon!), le uscite e la nanna, oltre a interagire e giocare. Ma per avere un riconoscimento sociale come figura indispensabile nella crescita del bambino mancano diversi passaggi. Uno particolarmente importante è quello lavorativo: si ripropone lo stesso problema che ha afflitto (e ancora è irrisolto) le donne. Se il contesto non li sostiene, il lavoro diventa un vincolo e anche loro sono toccati dal timore della possibile perdita del ruolo acquisito sul lavoro, quello stesso timore che le donne hanno per lungo tempo sperimentato a fronte di una maternità. Alcuni uomini riescono a cogliere le opportunità offerte da congedi e permessi, ma sono pochi, pochissimi. Restano ancora legati all’onere di portare «il pane» alla famiglia e questo limita il modo di vivere la paternità: in molti contesti è vista come inappropriata la richiesta di congedi parentali, permessi per visite o assenze per malattia figlio. Solo con una visione lungimirante, attenta al benessere della persona, e una diversa visione della genitorialità si può sperare di «sdoganare» il valore di essere padre sul luogo di lavoro. Alcuni datori riconoscono la paternità come centrale nelle politiche di welfare aziendale, ma a livello politico non c’è vera attenzione. Ai bambini serve molto spazio e molto tempo, con entrambe le figure: ai padri servono più spazio e più tempo! Per altro con una migliore distribuzione di permessi e aspettative (anche obbligatoria) si attenuerebbero anche le discriminazioni verso le donne sul lavoro, ottenendo il vantaggio di un rapporto più equo e sano in famiglia e fuori. Vorrei però ricordare che i cambiamenti avvenuti nella gestione della nascita dagli anni 80 (tra cui l’ingresso dei padri in sala parto) sono stati sostenuti da una forte, pressante richiesta delle donne: non ci si può aspettare che le politiche cambino se non sostenute da un’istanza, una volontà da parte dei padri e delle coppie genitoriali. Non ci si può quindi limitare ad aspettare leggi migliori: è necessario utilizzare al massimo quelle esistenti, anche a rischio di andare controcorrente e non essere compresi dai colleghi.
I babbi oggi hanno un ruolo fondamentale già prima della nascita e sono indispensabili nella crescita del bambino Ma per il loro vero riconoscimento mancano diversi passaggi, il contesto non li sostiene