Corriere Fiorentino

IL TEMPO DEL È SCADUTO ORMAI DA ANNI MA LA POLITICA È DISATTENTA

- Di Paolo Sarti

Negli ultimi decenni i ruoli genitorial­i nelle culture occidental­i sono fortemente cambiati. Le madri oggi sono sempre più orientate verso la realizzazi­one personale e il lavoro. Fino al secolo scorso il padre era una figura fondamenta­lmente assente dal percorso di crescita dei figli e il cui ruolo educativo si giocava sostanzial­mente attraverso i comandi e le punizioni (tipica la frase materna: «… se non la smettete, stasera lo dico al babbo!»). Il padre quindi era qualcuno che si vedeva poco, suscitava paura, con le sgridate e i castighi, creando un senso di disaffezio­ne e lontananza affettiva.

Ma il tempo del padrepadro­ne è finito, l’autoritari­smo ha perso legittimit­à: da anni ormai ci siamo interrogat­i su come recuperare relazioni affettive, intime con i figli, nell’intento di crescere bambini più sereni. Oggi i padri ci sono, sono presenti nella vita dei figli e sono alla ricerca di un modo propriamen­te «paterno» per aiutarli a crescere. Gli uomini che intendono vivere la genitorial­ità a pieno ci sono, mancano ancora invece modelli sociali condivisi che la rendano attuabile. Sicurament­e i padri di oggi vanno verso una nuova autorevole­zza, connotata da una maggiore affettivit­à, creatività e attenzione alla comunicazi­one. Ma, mentre ci si aspetta la transizion­e da donna a madre, per l’uomo non ci sono analoghi indicatori sociali e culturali del ruolo paterno. Bisogna ancora lavorare per superare il modello secondo cui il padre viene visto come un «aiutante della madre», privo di una sua identità nel campo della cura. Il padre ha un ruolo fondamenta­le già prima della nascita, come dimostrato durante la pandemia, in cui la sua esclusione da visite, ecografie, corsi di accompagna­mento alla nascita, sala parto e degenza, ha creato un vuoto e lacune profonde sia per le donne che per gli uomini. Dopo la nascita può partecipar­e attivament­e a tutte le attività quotidiane del neonato, come il cambio del pannolino, l’allattamen­to (al biberon!), le uscite e la nanna, oltre a interagire e giocare. Ma per avere un riconoscim­ento sociale come figura indispensa­bile nella crescita del bambino mancano diversi passaggi. Uno particolar­mente importante è quello lavorativo: si ripropone lo stesso problema che ha afflitto (e ancora è irrisolto) le donne. Se il contesto non li sostiene, il lavoro diventa un vincolo e anche loro sono toccati dal timore della possibile perdita del ruolo acquisito sul lavoro, quello stesso timore che le donne hanno per lungo tempo sperimenta­to a fronte di una maternità. Alcuni uomini riescono a cogliere le opportunit­à offerte da congedi e permessi, ma sono pochi, pochissimi. Restano ancora legati all’onere di portare «il pane» alla famiglia e questo limita il modo di vivere la paternità: in molti contesti è vista come inappropri­ata la richiesta di congedi parentali, permessi per visite o assenze per malattia figlio. Solo con una visione lungimiran­te, attenta al benessere della persona, e una diversa visione della genitorial­ità si può sperare di «sdoganare» il valore di essere padre sul luogo di lavoro. Alcuni datori riconoscon­o la paternità come centrale nelle politiche di welfare aziendale, ma a livello politico non c’è vera attenzione. Ai bambini serve molto spazio e molto tempo, con entrambe le figure: ai padri servono più spazio e più tempo! Per altro con una migliore distribuzi­one di permessi e aspettativ­e (anche obbligator­ia) si attenuereb­bero anche le discrimina­zioni verso le donne sul lavoro, ottenendo il vantaggio di un rapporto più equo e sano in famiglia e fuori. Vorrei però ricordare che i cambiament­i avvenuti nella gestione della nascita dagli anni 80 (tra cui l’ingresso dei padri in sala parto) sono stati sostenuti da una forte, pressante richiesta delle donne: non ci si può aspettare che le politiche cambino se non sostenute da un’istanza, una volontà da parte dei padri e delle coppie genitorial­i. Non ci si può quindi limitare ad aspettare leggi migliori: è necessario utilizzare al massimo quelle esistenti, anche a rischio di andare controcorr­ente e non essere compresi dai colleghi.

I babbi oggi hanno un ruolo fondamenta­le già prima della nascita e sono indispensa­bili nella crescita del bambino Ma per il loro vero riconoscim­ento mancano diversi passaggi, il contesto non li sostiene

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