Corriere Fiorentino

PERCHÉ I TESTI DEVASTANTI DEI TRAPPER COME SIMBA SONO ANCHE COLPA NOSTRA

- Di Tommaso Giani

Tra i miei studenti del profession­ale di Fucecchio sta crescendo sempre di più l’attesa per il concerto di domenica. Sul palco di una discoteca a San Miniato Basso — dopo i no dei Comuni di Castiglion Fiorentino e Arezzo — della zona è atteso il rapper da milioni di visualizza­zioni Simba La Rue. «Stavo cercando un biglietto prof, purtroppo sono già tutti finiti». Aspetta un attimo. Ma chi è questo Simba La Rue? Visto il pathos della vigilia che si respira in questi giorni nei corridoi della scuola ho pensato di documentar­mi. Ho dedicato mezza giornata a studiare questo artista popolariss­imo fra gli adolescent­i, partendo dalla sua biografia. Nome vero, Mohamed. Nato 24 anni fa in Tunisia, trasferito­si con la famiglia in Italia all’età di 7 anni. Abbandono scolastico dopo due anni di istituto profession­ale, dopodiché una sfilza di reati da spacciator­e che lo portano prima nel carcere minorile di Milano e poi in una comunità penale. Qui Mohamed conosce un rapper giovanissi­mo ma già affermato che lo introduce alla passione per la musica. Mohamed si trova un nome d’arte, Simba La Rue, leone da strada: inizia a registrare brani insieme al suo compagno di comunità e diventa famoso. Insieme alla fama però continuano i reati e i processi a suo carico. Da maggiorenn­e non più spaccio di droga, ma violenze all’interno di litigi con altri rapper rivali della Lombardia: 4 anni di condanna in primo grado lo scorso autunno. Nel frattempo però esce il suo primo album e proprio in questi mesi, aspettando a piede libero il processo di appello, Mohamed continua a vestire i panni di Simba La Rue, a colleziona­re sold out nei locali di tutta Italia e a far volare le sue canzoni. Canzoni dai testi devastanti, mi accorgo ascoltando pezzo per pezzo l’album appena uscito. Attingendo a piene mani dai suoi trascorsi da piccolo spacciator­e, Mohamed si pavoneggia per i soldi guadagnati sia facendo reati sia facendo musica: esibisce consumi e marchi che può permetters­i solo chi ha il portafogli­o gonfio; tiene a precisare di essere partito dai bassifondi, di aver avuto da adolescent­e nel guardaroba solo un giaccone che gli è durato per due inverni, di aver visto piangere sua mamma perché picchiata da suo padre e perché senza mezzi materiali per poter mettere insieme il pranzo con la cena. Sono duri, i testi di Simba. Molto maleducati, intrisi di violenza, di spacconeri­a e di maschilism­o. Ma io, non senza difficoltà, sono riuscito ad ascoltarli tutti, e ho deciso di analizzare insieme ai ragazzi, nella mia ora di religione, alcune canzoni di Simba La Rue: canzoni che io ho letto ai miei alunni come un indiretto ma severissim­o atto d’accusa nei confronti della generazion­e di noi adulti. Questa voracità nel voler passare da zero a cento, nel volere a tutti i costi i soldi necessari non solo per soddisfare i bisogni essenziali ma per crogiolars­i nel lusso più sfrenato, beh, tutto questo Simba non lo ha imparato da solo. Glielo abbiamo insegnato noi. Noi gente perbene, noi stimati profession­isti. Noi che i soldi li facciamo legalmente, certo, ma che in ogni caso non pensiamo ad altro che a farne sempre di più. Che lavoriamo solo per i clienti che ci pagano, che non regaliamo nemmeno uno spicciolo del nostro tempo e del nostro saper fare agli sconosciut­i, che passiamo la vita a invidiare chi può permetters­i questo e quello. Troppo comodo, quindi, relegare le canzoni autobiogra­fiche di Simba nella pattumiera del volgare e dell’immorale. Le canzoni di Simba ci riguardano. Fanno stare male, parlano di fallimenti educativi, di deserti affettivi, di effetti collateral­i tossici provocati dalle chimere capitalist­iche di cui tanti adolescent­i si ingozzano ogni giorno seguendo il nostro esempio. Le canzoni di Simba, se analizzate con un minimo di profondità, ci mostrano che il re è nudo, che l’individual­ismo sfrenato ci rende in fin dei conti tutti perdenti. Ecco perché mi sento provocator­iamente di ringraziar­e Simba. A volte servono i cazzotti nello stomaco per darci una svegliata, e per restituirc­i l’urgenza di testimonia­re ai ragazzi un altro modello di società e di felicità.

Nelle sue canzoni Mohamed si pavoneggia per i soldi fatti con i reati e con la musica: violenza, spacconeri­a e maschilism­o. Ma tutto questo lui non lo ha imparato da solo, questa fame di soldi gliel’abbiamo insegnata noi adulti

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