PERCHÉ I TESTI DEVASTANTI DEI TRAPPER COME SIMBA SONO ANCHE COLPA NOSTRA
Tra i miei studenti del professionale di Fucecchio sta crescendo sempre di più l’attesa per il concerto di domenica. Sul palco di una discoteca a San Miniato Basso — dopo i no dei Comuni di Castiglion Fiorentino e Arezzo — della zona è atteso il rapper da milioni di visualizzazioni Simba La Rue. «Stavo cercando un biglietto prof, purtroppo sono già tutti finiti». Aspetta un attimo. Ma chi è questo Simba La Rue? Visto il pathos della vigilia che si respira in questi giorni nei corridoi della scuola ho pensato di documentarmi. Ho dedicato mezza giornata a studiare questo artista popolarissimo fra gli adolescenti, partendo dalla sua biografia. Nome vero, Mohamed. Nato 24 anni fa in Tunisia, trasferitosi con la famiglia in Italia all’età di 7 anni. Abbandono scolastico dopo due anni di istituto professionale, dopodiché una sfilza di reati da spacciatore che lo portano prima nel carcere minorile di Milano e poi in una comunità penale. Qui Mohamed conosce un rapper giovanissimo ma già affermato che lo introduce alla passione per la musica. Mohamed si trova un nome d’arte, Simba La Rue, leone da strada: inizia a registrare brani insieme al suo compagno di comunità e diventa famoso. Insieme alla fama però continuano i reati e i processi a suo carico. Da maggiorenne non più spaccio di droga, ma violenze all’interno di litigi con altri rapper rivali della Lombardia: 4 anni di condanna in primo grado lo scorso autunno. Nel frattempo però esce il suo primo album e proprio in questi mesi, aspettando a piede libero il processo di appello, Mohamed continua a vestire i panni di Simba La Rue, a collezionare sold out nei locali di tutta Italia e a far volare le sue canzoni. Canzoni dai testi devastanti, mi accorgo ascoltando pezzo per pezzo l’album appena uscito. Attingendo a piene mani dai suoi trascorsi da piccolo spacciatore, Mohamed si pavoneggia per i soldi guadagnati sia facendo reati sia facendo musica: esibisce consumi e marchi che può permettersi solo chi ha il portafoglio gonfio; tiene a precisare di essere partito dai bassifondi, di aver avuto da adolescente nel guardaroba solo un giaccone che gli è durato per due inverni, di aver visto piangere sua mamma perché picchiata da suo padre e perché senza mezzi materiali per poter mettere insieme il pranzo con la cena. Sono duri, i testi di Simba. Molto maleducati, intrisi di violenza, di spacconeria e di maschilismo. Ma io, non senza difficoltà, sono riuscito ad ascoltarli tutti, e ho deciso di analizzare insieme ai ragazzi, nella mia ora di religione, alcune canzoni di Simba La Rue: canzoni che io ho letto ai miei alunni come un indiretto ma severissimo atto d’accusa nei confronti della generazione di noi adulti. Questa voracità nel voler passare da zero a cento, nel volere a tutti i costi i soldi necessari non solo per soddisfare i bisogni essenziali ma per crogiolarsi nel lusso più sfrenato, beh, tutto questo Simba non lo ha imparato da solo. Glielo abbiamo insegnato noi. Noi gente perbene, noi stimati professionisti. Noi che i soldi li facciamo legalmente, certo, ma che in ogni caso non pensiamo ad altro che a farne sempre di più. Che lavoriamo solo per i clienti che ci pagano, che non regaliamo nemmeno uno spicciolo del nostro tempo e del nostro saper fare agli sconosciuti, che passiamo la vita a invidiare chi può permettersi questo e quello. Troppo comodo, quindi, relegare le canzoni autobiografiche di Simba nella pattumiera del volgare e dell’immorale. Le canzoni di Simba ci riguardano. Fanno stare male, parlano di fallimenti educativi, di deserti affettivi, di effetti collaterali tossici provocati dalle chimere capitalistiche di cui tanti adolescenti si ingozzano ogni giorno seguendo il nostro esempio. Le canzoni di Simba, se analizzate con un minimo di profondità, ci mostrano che il re è nudo, che l’individualismo sfrenato ci rende in fin dei conti tutti perdenti. Ecco perché mi sento provocatoriamente di ringraziare Simba. A volte servono i cazzotti nello stomaco per darci una svegliata, e per restituirci l’urgenza di testimoniare ai ragazzi un altro modello di società e di felicità.
Nelle sue canzoni Mohamed si pavoneggia per i soldi fatti con i reati e con la musica: violenza, spacconeria e maschilismo. Ma tutto questo lui non lo ha imparato da solo, questa fame di soldi gliel’abbiamo insegnata noi adulti