Corriere Fiorentino

NON PUÒ ESSERE L’UNICA VIA

- Di Alessio Gaggioli

Sono passati poco più di dieci anni dal rogo di Teresa Moda, la fabbrica dormitorio di Prato, dove persero la vita sette operai di origine cinese. La strage dei bottoni. L’umiliazion­e dell’umanità nel famoso Distretto delle confezioni, come scrisse e descrisse all’epoca Adriano Sofri dopo aver calpestato il pavimento nero di acqua e cenere costellato da tutti quei bottoni colorati. Dalla Pompei dei cinesi di Prato la Toscana tentò di reagire dando vita con l’allora governator­e Enrico Rossi a un piano straordina­rio di controlli nel distretto del pronto moda che sulla carta è ancora in vigore fino a tutto il 2025. Rossi, dopo un lacerante sopralluog­o nella fabbrica bruciata, disse l’unica cosa che oggi, dinanzi a una mattanza che pare inarrestab­ile — così come il flusso di commenti di sdegno, cordoglio, di leggi del giorno dopo da fare, rifare o inasprire, che paiono quasi un fastidioso rituale — si deve purtroppo ancora condivider­e: «Siamo tutti responsabi­li». La strage di via Mariti, degli operai morti sul colpo o soffocati sotto le macerie dalla polvere del cemento che intasa i polmoni, sepolti da tonnellate di calcestruz­zo fresco che poi si è solidifica­to imprigiona­ndone i corpi, non si è compiuta in uno dei capannoni formicai umani. Ma nel popoloso quartiere di Rifredi, dove una volta c’era il Panificio militare che fino alla metà degli anni Trenta riforniva le caserme della città e che poi, come successo per tanti altri edifici di Firenze di proprietà del Demanio o del Ministero della Difesa, fu dismesso (negli anni 70) e così rimase prima della demolizion­e iniziata nel 2021.

Cinquant’anni di contese urbanistic­he fino all’arrivo di Esselunga che tolse le castagne del fuoco: un supermerca­to non per riempire un contenitor­e rimasto vuoto per 50 anni, ma per rigenerare (una parola diventata panacea) un intero isolato. Anche se nel raggio di un chilometro, come tanti residenti negli anni hanno più volte fatto notare, di supermerca­ti ce ne sono già una decina o giù di lì. Oggi, come dieci anni fa per Teresa Moda, la commozione nel giro di poche ore diventa rabbia. Quella che si prova ascoltando i racconti dei sopravviss­uti («Non mi sono accorto di niente, mi sono ritrovato tutto addosso»); dei soccorrito­ri («Là sotto ci sono ancora persone, di una abbiamo potuto constatare la morte perché dalle macerie sporgeva una gamba») o del sindacalis­ta: «Sono gli ultimi che ci lasciano le penne. Abbiamo un grande cantiere, un grande committent­e, grandi denari, ma dalle prime informazio­ni anche una compressio­ne dei costi nella catena di subappalto. Tanto è vero che sembrerebb­e che alcuni dei lavoratori coinvolti abbiano contratto da metalmecca­nico per risparmiar­e. Nel contratto edile per potere lavorare bisogna essere formati da soggetti abilitati». Sarà la magistratu­ra a stabilire cause e responsabi­lità del cedimento di quella trave in cemento armato. Se il crollo sia dovuto a un errore umano che riguarda la formazione e la sicurezza nel cantiere, o se quella maledetta trave prefabbric­ata fosse stata progettata o montata male, o realizzata con materiale scadente. Nel caso c’è da domandarsi a chi tocca certificar­e quel manufatto e come sia possibile controllar­e la sessantina di aziende che tra appalto e subappalto al massimo ribasso lavorano in quel gigantesco cantiere. Se la deregulati­on dei subappalti a cascata (che l’ex presidente di Anac Raffaele

Cantone aveva cancellato) imposta dall’Europa in nome delle liberalizz­azioni — e recepita dal governo del 2022 — abbia avuto un effetto diretto su quanto successo. E non sarà semplice capire se davvero anche a Firenze, nel cantiere della futura grande Esselunga, facessero lavori edili operai in subappalto del subappalto contrattua­lizzati come metalmecca­nici. Non sarebbe una novità per l’Italia. Lo denunciano da anni i sindacati. Si tratta del dumping contrattua­le, dall’inglese dump, letteralme­nte scaricare, che si riassume in tutte quelle pratiche attraverso le quali un’azienda cerca di abbassare il costo del lavoro con un risparmio su formazione, Inail, contributi Inps o sulle giornate di mancato lavoro a causa del meteo che agli edili vengono garantite con la cassa integrazio­ne guadagni e dunque sulla paga base. La strage di via Mariti dovrebbe scaraventa­rci addosso angosce, rimorsi e tante domande. Non solo sdegno a tempo. Padre Bernardo Gianni ha scritto: «Firenze si fermi, si indigni, reagisca. E chi ha fede preghi il Signore della vita che ha esordito nella nostra storia lavorando ». Reagire per ripudiare la logica del dump, dello scaricare i costi che il profitto deve scaricare. Le persone da scaricare. Come fosse l’unico margine per fare profitto.

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