Corriere Fiorentino

Lo choc del quartiere: «Il boato poi un’enorme nuvola bianca e urla disperate d’aiuto»

Il racconto degli abitanti: «Sembrava un terremoto»

- Di Lorenzo Sarra e Jacopo Storni

«Ci è crollato tutto addosso, il mio amico era lì sotto...». Non dice altro, un operaio marocchino che lavora nel cantiere per la nuova Esselunga. Parla a malapena l’italiano, come del resto gli altri colleghi. «Sono salvo per miracolo», aggiunge un secondo lavoratore. Poi scappa, con ancora la pettorina arancione addosso, sotto choc.

L’intero quartiere è sconvolto. «Sembrava un terremoto — dicono al bar Baruffa, in via Giovanni da Empoli — all’inizio siamo andati a ripararci dietro al bancone, poi abbiamo visto una gigantesca nuvola bianca, l’aria era irrespirab­ile». «Sono salita sul tetto del mio palazzo dopo il boato: c’era un fungo atomico di polvere intorno al cantiere e ho sentito le urla strazianti di aiuto», racconta Nicla del comitato Ex Panificio militare, che per vent’anni ha combattuto contro le speculazio­ni edilizie nell’area.

La signora Giovanna, che abita in via Mariti, ricorda con il magone il momento del crollo: «Le mura di casa hanno tremato. Mi sono affacciata alla finestra. Sentivo le grida dei sopravviss­uti. Un po’ in italiano, un po’ in una lingua che non capivo». L’elettrauto di via Mariti ha visto tutto: «Avevo appena parcheggia­to il furgone, mi stavo incamminan­do all’officina. Poi ecco cadere i tre solai, uno dietro l’altro: un domino». Gli operai erano ormai di casa, nel rione: «Siamo distrutti, qui vengono spesso a mangiare, ragazzi gentili», dicono alla pizzeria La Crusca in via Ponte di Mezzo. Ludiana lavora al bar Manzoni, a un passo dal cantiere. Ha gli occhi lucidi: «Quello che è successo è una tragedia, ancora più grande se si consideran­o le condizioni di lavoro di questi ragazzi. Arrivavano poco dopo le 6. Venivano sempre qui a fare colazione. Alcuni si lamentavan­o per i ritmi estenuanti. Uno di loro mi ha raccontato che per costruire un ponteggio sarebbero state necessarie quattro ore di lavoro, ma gli veniva detto di impiegarce­ne due, con meno lavoratori del previsto».

Gli operai, spiega il titolare di La Bottega di Bacco in via Ponte di Mezzo, erano soprattutt­o nordafrica­ni e bengalesi: «Tutti molto giovani». In tarda mattinata c’è chi ancora è affacciato dai condomini più alti, per vedere il pilone di calcestruz­zo collassato. Altri sono scesi in strada, dietro la calca di giornalist­i. Maria, che abita in via Ponte di Mezzo, non trattiene le lacrime: «Mi immedesimo in chi è sotto le macerie. Penso se anch’io, dopo aver salutato la mia bambina prima di andare a lavoro, non tornassi più a casa».

Le voci nel quartiere girano. C’è chi parla di un errore nella filiera degli appalti all’origine della catastrofe: «Dicono che erano operai non specializz­ati, dei metalmecca­nici che non potevano avvicinars­i a certi macchinari». Altri se la prendono con la fretta: «Lavoravano a tutte le ore. Gli edifici crescevano a vista d’occhio». «Non è vero — precisa Giada, residente di via Mariti — verso le 17 smettevano sempre di lavorare. Qui abbiamo già tanto traffico, le ambulanze, l’occupazion­e degli antagonist­i: gli interventi non disturbava­no troppo, a parte per un po’ di polvere. Mi pareva tutto ordinato… e invece… Non si può morire così».

La barista Molti operai vengono qui a fare colazione, li ho sentiti lamentarsi spesso per i ritmi estenuanti e per le condizioni in cui lavoravano

L’elettrauto Ero appena sceso dal furgone e andavo verso l’officina quando ho visto cadere i tre solai uno dietro l’altro

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