Lo choc del quartiere: «Il boato poi un’enorme nuvola bianca e urla disperate d’aiuto»
Il racconto degli abitanti: «Sembrava un terremoto»
«Ci è crollato tutto addosso, il mio amico era lì sotto...». Non dice altro, un operaio marocchino che lavora nel cantiere per la nuova Esselunga. Parla a malapena l’italiano, come del resto gli altri colleghi. «Sono salvo per miracolo», aggiunge un secondo lavoratore. Poi scappa, con ancora la pettorina arancione addosso, sotto choc.
L’intero quartiere è sconvolto. «Sembrava un terremoto — dicono al bar Baruffa, in via Giovanni da Empoli — all’inizio siamo andati a ripararci dietro al bancone, poi abbiamo visto una gigantesca nuvola bianca, l’aria era irrespirabile». «Sono salita sul tetto del mio palazzo dopo il boato: c’era un fungo atomico di polvere intorno al cantiere e ho sentito le urla strazianti di aiuto», racconta Nicla del comitato Ex Panificio militare, che per vent’anni ha combattuto contro le speculazioni edilizie nell’area.
La signora Giovanna, che abita in via Mariti, ricorda con il magone il momento del crollo: «Le mura di casa hanno tremato. Mi sono affacciata alla finestra. Sentivo le grida dei sopravvissuti. Un po’ in italiano, un po’ in una lingua che non capivo». L’elettrauto di via Mariti ha visto tutto: «Avevo appena parcheggiato il furgone, mi stavo incamminando all’officina. Poi ecco cadere i tre solai, uno dietro l’altro: un domino». Gli operai erano ormai di casa, nel rione: «Siamo distrutti, qui vengono spesso a mangiare, ragazzi gentili», dicono alla pizzeria La Crusca in via Ponte di Mezzo. Ludiana lavora al bar Manzoni, a un passo dal cantiere. Ha gli occhi lucidi: «Quello che è successo è una tragedia, ancora più grande se si considerano le condizioni di lavoro di questi ragazzi. Arrivavano poco dopo le 6. Venivano sempre qui a fare colazione. Alcuni si lamentavano per i ritmi estenuanti. Uno di loro mi ha raccontato che per costruire un ponteggio sarebbero state necessarie quattro ore di lavoro, ma gli veniva detto di impiegarcene due, con meno lavoratori del previsto».
Gli operai, spiega il titolare di La Bottega di Bacco in via Ponte di Mezzo, erano soprattutto nordafricani e bengalesi: «Tutti molto giovani». In tarda mattinata c’è chi ancora è affacciato dai condomini più alti, per vedere il pilone di calcestruzzo collassato. Altri sono scesi in strada, dietro la calca di giornalisti. Maria, che abita in via Ponte di Mezzo, non trattiene le lacrime: «Mi immedesimo in chi è sotto le macerie. Penso se anch’io, dopo aver salutato la mia bambina prima di andare a lavoro, non tornassi più a casa».
Le voci nel quartiere girano. C’è chi parla di un errore nella filiera degli appalti all’origine della catastrofe: «Dicono che erano operai non specializzati, dei metalmeccanici che non potevano avvicinarsi a certi macchinari». Altri se la prendono con la fretta: «Lavoravano a tutte le ore. Gli edifici crescevano a vista d’occhio». «Non è vero — precisa Giada, residente di via Mariti — verso le 17 smettevano sempre di lavorare. Qui abbiamo già tanto traffico, le ambulanze, l’occupazione degli antagonisti: gli interventi non disturbavano troppo, a parte per un po’ di polvere. Mi pareva tutto ordinato… e invece… Non si può morire così».
La barista Molti operai vengono qui a fare colazione, li ho sentiti lamentarsi spesso per i ritmi estenuanti e per le condizioni in cui lavoravano
L’elettrauto Ero appena sceso dal furgone e andavo verso l’officina quando ho visto cadere i tre solai uno dietro l’altro