L’Oriente di Chini e Puccini
Storia di un’amicizia L’incontro a Torre del Lago grazie a Plinio Nomellini, l’ascolto delle opere, la collaborazione per «Turandot». Due maestri amabili e scherzosi legati da un’affinità profonda
Galileo Chini e Giacomo Puccini, due grandi artisti che si sono incontrati nella prima metà del Novecento, il secolo breve di idee, passioni, capolavori nel campo della musica, pittura, avanguardie artistiche. Fiorentino il primo, lucchese il secondo, entrambi innamorati della Versilia, ispirati dal suo mare, dai boschi di pini, lecci, ontani. Decoratore, pittore, tra i maggiori promotori dello stile liberty in Italia, Chini trascorse alcuni anni in Thailandia, allora Siam, dal 1911 al 1913, nel corso dei quali fu incaricato da Rama V Re del Siam, di decorare il Palazzo del Trono a Bangkok. Il fascino e le suggestioni dell’Oriente rappresentano un elemento importante, come vedremo, che ha legato Chini e Puccini. «Il rapporto tra i due artisti nasce nel 1908 — raccondiligeva Claudia Menichini, collaboratrice e animatrice dell’Archivio Galileo Chini — Puccini cercava un luogo che lo ispirasse e si trasferì a Torre del Lago. Prese in affitto la villa che apparteneva a Venanzio Buscaglia. Nella cittadina versiliese entra in contatto con un piccolo cenacolo di artisti “i pittori del lago” che diventerà poi il “Club La Bohème”. Tra questi vi era Chini, che nel frattempo aveva dato vita alla Manifattura delle Ceramiche». La villa di Torre del Lago, acquistata poi dal maestro lucchese quando il successo gli consentirà di avere a disposizione le risorse economiche necessarie, è in effetti ricca di ceramiche del Chini.
Il sodalizio tra i due inizia dunque proprio in quell’occasione. «A presentare Puccini a Chini fu Plinio Nomellini, pittore livornese della corrente dei divisionisti, amico di Chini. Puccini incarica l’artista fiorentino di decorare il suo salotto con quello che diventerà il pannello ceramico». Da quel momento in poi si creerà un rapporto molto stretto tra i due artisti, grazie anche a Nomellini, che manterrà i contatti con entrambi». Poi verranno le scenografie delle
Paola Polidori Chini (nipote dell’artista) Mio nonno mi raccontava che Puccini gli suonava alcuni pezzi della sua Incompiuta per dargli lo spunto per le scenografie
grandi opere pucciniane:
Gianni Schicchi e soprattutto
Turandot. «Nel 1916 Puccini scrive a Ricordi dicendogli che le scene del Gianni Schicchi dovevano essere affidate a Chini e così è stato. In effetti avrebbe dovuto essere lo stesso per il Tabarro ,mala cosa non andò a buon fine».
Tuttavia l’apoteosi, se così possiamo dire, arriva con
Turandot, opera incompiuta, che andò in scena il 25 aprile del 1926, dopo la morte di Puccini, in una serata memorabile diretta da Arturo Toscanini. «Le scene erano bellissime, il maestro, che le aveva viste prima di morire, era entusiasta. Chini conosceva l’Oriente, ne disegnava i colori, le statue del Buddha, la vegetazione, l’oro dei dipinti. La scena del primo atto, tutta giocata sul viola, la silhouette di Turandot dietro il tramonto del sole, sono vere e proprie opere d’arte». Puccini potè vedere solo una parte di questo lavoro, morì infatti a Bruxelles il 29 novembre del 1924. «Fece in tempo ad ammirare solo i primi quattro scenari prodotti da Chini, tra cui la grande scala bianca che assomiglia alla struttura di un tempio orientale, con in cima il Principe Ignoto». Nonostante la profonda affinità intellettuale, i caratteri erano piuttosto diversi: «Chini era più austero — continua la Menichini — soprattutto per quanto riguarda il rapporto con la famiglia. Puccini aveva sempre bisogno di una musa che lo ispirasse, Chini no, lui preta la vita familiare, amava il giardinaggio, Lido di Camaiore era il suo luogo di elezione». Tuttavia, nonostante le differenze, erano entrambi amabili, scherzosi, amanti del bon vivre, almeno questo vien fuori dalle biografie che li riguardano. «È anche per questo motivo che andavano d’accordo e che si era creata una sincera amicizia, anche il padre di Chini si recava spesso a casa di Puccini, perché anche lui era appassionato di musica». Un aspetto biografico testimoniato anche dalla nipote dell’artista, Paola Polidori Chini: «Quando Puccini si trasferì nella villa di Viareggio, era mio nonno che lo andava a trovare, lui non veniva mai a casa nostra. C’era una ragione, mio nonno mi raccontava che Puccini lo aspettava lì per fargli ascoltare le arie delle sue opere, lui suonava alcuni pezzi della Turandot per dare a Chini lo spunto per le scenografie e le suggestioni dell’Oriente erano il filo conduttore per entrambi».
Si era così venuta a creare una notevole confidenza tra i due maestri: «Quegli incontri avevano tra l’altro un tono molto familiare e nella villa di Viareggio sono passate molte storie. Del resto mio nonno era una persona aperta, disponibile con tutti e interessato a tutto, in una parola amava lo scambio: di notizie, di impressioni, di culture e anche per questo non poteva non amare Giacomo Puccini».