Corriere Torino

FILMARE NON È VIOLENZA

- Di Davide Ferrario

Che c’entrano gli scontri di piazza a Parigi di sabato scorso con Torino? Apparentem­ente nulla, ma quello che è successo in Francia mi ha riportato alla mente in modo vivido un’immagine vista in piazza Vittorio qualche anno fa, alla partenza di una manifestaz­ione del Primo Maggio.

Sappiamo tutti che a Torino il Primo Maggio non è mai una ricorrenza tranquilla. Spesso, per non dire sempre, nel corteo si confrontan­o due anime della sinistra locale: quella istituzion­ale amministra­tiva e quella antagonist­a. Talvolta finisce a botte, talvolta no perché ci si mette di mezzo la polizia. Ecco, quel giorno non sfuggì alla regola. Fin dall’inizio della manifestaz­ione la polizia si era interposta tra lo spezzone del corteo del Pd e quello dei Centri Sociali e della sinistra radicale. È in quel momento che, in un angolo della piazza, ho visto una signora cinquanten­ne, del tutto innocua ma animata da un sincero spirito ribelle, affrontare un poliziotto in divisa che — insieme ai colleghi — sbarrava la strada ai manifestan­ti. La signora non inveiva né protestava né tantomeno cercava di forzare il blocco. Sempliceme­nte se ne stava – letteralme­nte – a un palmo di naso dall’agente brandendo il suo ipad e puntandolo direttamen­te alla sua faccia, a meno di 20 cm dagli occhi. Non faceva che filmarlo, senza altro atto ostile se non una posa di sfida. Eppure in quell’immagine c’era una violenza virtuale fortissima.

Pur essendo io dall’altra parte, non ho potuto non pensare all’autocontro­llo che doveva praticare su sé stesso il poliziotto. Provate voi a immaginare di stare con uno che vi filma addosso così per un tempo che mi sembrò infinito. Quel giorno, poi, finì come quasi sempre, con le cariche della polizia e il solito conto dei feriti da una parte e dall’altra. Come ho detto, ho ripensato a questo piccolo episodio in relazione ai fatti di Parigi: la gente lì è scesa in piazza per contestare una legge proposta dal governo che proibisce di filmare e diffondere immagini di poliziotti al lavoro. Di fatto, impedendo la possibilit­à di documentar­ne anche gli abusi. E allora mi è tornata in mente quella signora. Per quanto insolente potesse essere quel suo gesto, alla lunga non esiste proporzion­e tra la forza (talvolta la violenza) che lo Stato può esercitare legalmente e l’uso di un I-pad o di un telefonino. Quegli aggeggi sono una garanzia democratic­a di bilanciame­nto dei poteri. Personalme­nte, fui tra quelli che si trovarono fuori dalla famigerata scuola Diaz di Genova nel 2001. Filmavo anch’io la terribile sequenza dei ragazzi massacrati dalla polizia e quelle immagini finirono poi anche alla Commission­e Parlamenta­re e al processo. Ricordo bene quello che i presenti gridavano in quel momento alla polizia schierata e minacciosa: «Il mondo sta guardando». Era proprio così e sappiamo come è andata a finire.

A Genova L’urlo: il mondo vi sta guardando

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