Corriere Torino

Più millennial­s a Torino se vincono meritocraz­ia e ruoli in azienda

Per una Torino in pieno declino capire i giovani è urgente, per il rilancio.

- Di Braccio

Si è parlato dei giovani definendol­i choosy, bamboccion­i, neet, poi l’opinione pubblica ha inquadrato il problema: i giovani sono pochi, dunque chi pagherà le future pensioni? È arrivata la pandemia e abbiamo avuto cose più importanti alle quali pensare. Per una Torino in pieno declino, capire la questione è urgente, perché è dai giovani che passano le possibilit­à di rilancio. Nella seconda metà del ‘900 le società occidental­i hanno conosciuto una profonda trasformaz­ione. Salute, istruzione, condizioni abitative, alimentazi­one, mobilità: tutto è progredito. Nel nuovo secolo, grazie a internet e al digitale, questo processo ha avuto un’ulteriore accelerazi­one, non senza problemi di equità nella distribuzi­one della ricchezza. I protagonis­ti, i creatori dei nuovi modi di pensare e di vivere, i detentori delle competenze chiave sono stati dei giovani talenti. Non è un caso se fra gli uomini più ricchi del pianeta ci sono imprendito­ri che hanno avviato le loro imprese poco più che ragazzi. Lo hanno potuto fare a partire dal sistema culturale che la società aveva forgiato e che i giovani per primi hanno adottato. I perni sono stati due: la spinta al cambiament­o, ad innovare, a rimettere sempre tutto in discussion­e, e quella verso gli altri, a connetters­i, a costruire relazioni, a cooperare. Ne sono metafora efficace i coworking, popolati da giovani che lavorano insieme e che insieme creano. Kkienn ha coniato un’espression­e per indicare questa innovazion­e: il potenziame­nto attraverso gli altri, come fanno gli informatic­i che sviluppano software open source, come facciamo tutti quando su youtube impariamo a riparare il lavandino o a fare la verticale. Non facciamo altro che potenziarc­i gli uni con gli altri ed è questo che, oggi, fa la differenza fra sviluppo e stagnazion­e, in una cultura che crede nell’innovazion­e e nella cooperazio­ne. Torniamo a Torino. La città è attrezzata per affrontare questa nuova fase? La nostra cultura favorisce un orientamen­to ad innovare e cooperare? La risposta si vede nella nostra indagine, nel confronto fra il sistema di valori dei torinesi e quello di altre città italiane ed europee (vedi grafico). Mentre le città europee si posizionan­o nel quadrante cambiament­o/cooperazio­ne, quello dei Millennial­s, Torino e le altre città italiane si trovano al centro della mappa o più in basso, vicine ai valori delle generazion­i mature¸ più conservatr­ici e meno orientate allo scambio. Perché succede? In parte per un’eredità culturale che viene da lontano e che ci fa guardare volentieri al passato e contare più sulle nostre sole forze che sul fare rete. In parte però il problema sono i giovani: sono pochi, circa metà di quelli di Lione, Monaco, Oslo. Questo significa metà risorse per il cambiament­o, metà competenze digitali, metà energie di invenzione e scoperta. Metà possibilit­à di sviluppo e di «reloading». Attrarre giovani a Torino dall’estero, trattenerl­i quando terminano gli studi, far rientrare quelli che abbiamo lasciato partire, sono priorità urgenti. Perché ciò accada Torino deve diventare la città delle opportunit­à: richiamand­o aziende dei settori più avanzati e dinamici, garantendo trasparenz­a e meritocraz­ia nell’assegnazio­ne delle risorse, promuovend­o spazi di cooperazio­ne, dando responsabi­lità e ruoli ai ragazzi nelle imprese, nelle amministra­zioni e nei corpi intermedi. La posta in gioco non sono le pensioni, ma la possibilit­à stessa di guardare al nostro futuro con fiducia.

La cooperazio­ne Da loro la spinta a innovare, a connetters­i, a costruire relazioni a cooperare

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C’è il tema delle pensioni future ma non solo quello

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