Il re (dei vini) è nudo
Troppa produzione e c’è chi vende il Barolo a 9,90 euro, come Piero Quadrumolo. Le aziende insorgono, ma il giro d’affari ha perso il 10%
Prima è finito nelle vetrine degli autogrill, adesso viene esposto in promozione sugli scaffali dei supermercati a 9,90 euro. Il re dei vini, orgoglio e simbolo del Piemonte, perde la corona e diventa un prodotto low cost. Una discesa vertiginosa dei prezzi che sta facendo tremare le colline delle Langhe come un terremoto. Perché il lancio in private label a 9,90 euro del Barolo di Terre da Vino (a marchio Conte di Zanone) è vissuto tra le vigne nobili del territorio quasi come un affronto; una svendita che mette a rischio un’etichetta (fino a ieri) sinonimo di lusso.
«Dieci anni fa il Piemonte produceva 6-7 milioni di bottiglie di Barolo, oggi con l’attuale annata in commercio del 2016 abbiamo superato quota 14 milioni. Se volete sapere perché vendo etichette a 9 euro la risposta sta in questi numeri», spiega piccato Piero Quadrumolo, direttore di Terre
da Vino, finito nel mirino della «casta» del re dei vini.
Nelle Langhe la tensione è palpabile tra molti produttori. Un ettaro di uva nebbiolo da Barolo costa fino a 2 milioni di euro. Nelle aste del vino, le bottiglie del territorio macinano record su record (da Sotheby’s il prezzo giusto arriva fino a 4 mila euro). Ma al supermercato il re dei vini si trasforma in prodotto alla portata di tutti. Creando, a detta di molti, un disallineamento di mercato, che impoverisce il territorio. «Ebbene sì: ho abbassato la soglia psicologica dei 10 euro. Ma evitiamo psicodrammi. Abbiamo prodotto troppo vino in questi anni, e oggi dobbiamo vendere. E di certo non sono il primo a distribuire Barolo a prezzi contenuti, altri lo fanno a 13-15 euro».
Ma allora qual è il prezzo giusto? Secondo Roberta Ceretto della cantina Ceretto di
Alba «le politiche aggressive di prezzo fanno male a tutto il territorio». E spiega: «La famiglie storiche del Barolo hanno lavorato mezzo secolo per far diventare il Barolo il re dei vini. Abbiamo lavorato sulla qualità, nel packaging, nel sughero. Se ci sono cantine che vendono etichette a 9 euro sviliamo tutta la filiera del vino. E poi per cosa? Per guadagnare pochi centesimi? Una bottiglia di Barolo non può costare meno di 25-30 euro». Per Quadrumolo invece possono convivere top di gamma (i grandi vini che valgono centinaia di euro) e anche prodotti più semplici, non ravvedendoci alcuno scandalo.
Tanto più che oggi la filiera è in crisi nera. Almeno in termini di profitti. Perché il Barolo, nonostante bar e ristoranti chiusi, continua a vendere. Il 2020 si chiuderà con una crescita del 9% della produzione.
Tutto bene? Nient’affatto. Perché un po’ tutti i produttori hanno limato al ribasso i prezzi e il giro d’affari oggi è a picco: il 10-15% in meno rispetto l’anno scorso. Lo conferma Matteo Ascheri, presidente del consorzio di Tutela Barolo, Barbaresco, Alta Langa e Dogliani. «Il 30% del Barolo oramai viaggia nel canale della grande distribuzione. Le cantine vendono vino sfuso. Sono gli imbottigliatori a fare il prezzo assieme ai supermarket. La nostra filiera deve rimodulare l’offerta, come ha fatto lo Champagne, e farsi carico anche dell’imbottigliamento. Così possiamo gestire noi le politiche di prezzo». Più facile a dirsi che a farsi. Ascheri ci ha provato. E ha proposto alle aziende agricole di diminuire la produzione. Nello Champagne l’hanno fatto, comprendendo che la crisi Covid-19 avrebbe depresso più i prezzi che i consumi. «Siamo riusciti a evitare la nascita di
Roberta Ceretto «Le politiche aggressive di prezzo fanno male a tutto il territorio»
nuovi impianti fino al 2022. Ma sul fronte della produzione e della proposta di riserva vendemmiale ho perso la mia battaglia», ammette Ascheri.
In Piemonte il Barolo vale circa 2.149 ettari coltivati, tre volte più del Barbaresco, il doppio del dolcetto. Nel 2019 il territorio ha prodotto 10 milioni di bottiglie di Barolo, il 9% in più rispetto all’anno precedente.