Il Regio non è guarito, ma c’è speranza: ora la città faccia la sua parte
Servono 5 milioni per i debiti più urgenti: chi li mette?
Il malato dà deboli segni di miglioramento, ma la prognosi resta riservata. Il bollettino medico della dottoressa Purchia sullo stato di salute del Regio autorizza qualche timida speranziella. Forse il Dinamico Duo Purchia-mulé riuscirà davvero a chiudere il dannato 2020 in pareggio. Al momento sono sotto di 400 mila euro, a settembre il preconsuntivo segnava -2,2 milioni: il risultato ha del miracoloso se si fa il confronto con il passivo di 7 milioni del 2019, passivo che spianò la strada al commissariamento.
Ma attenzione, Torino non è Lourdes. Di quei 7 milioni di «buco» (per la precisione 7,1) solo 2,4 (all’incirca la stessa cifra del disavanzo 2020 allo scorso settembre) rappresentavano la vera perdita della gestione operativa, mentre ben 3,7 erano la conseguenza di una svalutazione di proprietà immobiliari, operazione senz’altro lecita ma arrivata a puntino nel momento in cui ferveva il dibattito commissario sì-commissario no, facendo pendere a favore del «sì» l’ago della bilancia politica.
Quindi onore al Dinamico Duo che i risparmi e le razionalizzazioni li sta facendo sul serio, ma le esultanze lasciamole alle esultatrici professionali, le assessore e sindache che annunciano trullerissime il salvifico arrivo di venti milioni dal governo per cancellare una volta per tutte il fardello dell’antico debito che il Regio si trascina da anni. Purtroppo quei venti milioni non sono certi (la relativa legge è ancora in bozza, e la cifra è da definire) e neppure un dono di Gesù Bambino. Saranno, se e quando arriveranno, un prestito: magari a interesse bassissimo, ma prestito, e come tale da restituire, facendo sacrifici, disdettando integrativi, tagliando stipendi. Gira che ti rigira, va sempre a finire così.
Pur escludendo laicamente l’eventualità di miracoli, va comunque riconosciuto che il Dinamico Duo sta facendo bene il suo lavoro. Sarà pure uno sporco lavoro, pieno di sangue sudore lacrime, ma per salvare il Regio qualcuno doveva farlo: a costo di ribaltare consolidate abitudini, inerzie millenarie, irrazionalità non più sostenibili. E anche di sconvolgere le vite e le speranze delle persone. Il taglio dei 18 contratti a termine è solo una delle conseguenze dolorose del nuovo corso. Altre ne verranno, siatene pur certi. O qualcuno s’aspettava una gita di piacere? Il commissariamento a questo porta, lo si sapeva: e chi lo negava era male informato, o in malafede.
La gravità della situazione giustifica gravi decisioni. Per alleviarle non c’è che una via: sperare che non cada nel consueto silenzio imbarazzato l’appello che la commissaria Purchia continua a rivolgere all’intera città, affinché non lasci solo il Regio. Ad esempio: prima di marzo (quando forse, magari, chissà, arriveranno i vagheggiati soldi del governo) servono cinque milioni cash per saldare almeno i debiti pregressi più urgenti, i debiti nei confronti di aziende e prestatori d’opera che, con l’acqua alla gola, attendono di incassare per sopravvivere. La commissaria scongiura le istituzioni torinesi — e io ci aggiungerei le forze produttive — affinché trovino il modo di farglieli avere, quei cinque milioni: con uno stanziamento extra, un intervento-ponte, un prestito, magari — e qui torniamo a occuparci di miracoli — una largizione liberale.
Sono davvero curioso di vedere chi risponderà. Se come al solito Torino farà orecchie da mercante, vorrà dire che del Regio se ne frega. E allora, perché stare a dannarci l’anima? Salutiamo e ringraziamo la commissaria, portiamo i libri in tribunale e nel palazzo del Regio mettiamoci un bel supermercato.