Il Mundial nacque al Combi
C’è una «storia torinese» dietro al trionfo azzurro in Spagna. L’amore di Bearzot per Pablito
C’è una storia molto torinese dietro all’italia campione del mondo nel 1982. Ce l’ha raccontata Gigi Garanzini con «Il romanzo del Vecio», un prezioso atto d’amore del popolare giornalista biellese verso Enzo Bearzot.
Novembre 1981: protagonisti Enzo Bearzot, Paolo Rossi e il campo Combi. Tutto granata il legame con la Mole dell’allora c.t. azzurro: a lungo giocatore del Toro e poi tecnico delle giovanili negli Anni 60, quindi tifoso mimetizzato (faceva già parte dello staff azzurro) durante la festa scudetto del ‘76. Paolo Rossi era invece alla Juventus, ai tempi squalificato per calcioscommesse. Infine, il campo Combi che ospitava gli allenamenti bianconeri e sorgeva a due passi da via Filadelfia. «Enzo, resto con i portieri». Cesare Maldini è sul terreno principale del Combi, la Nazionale è infatti «ospite» della Juve alla vigilia di Italia-grecia, qualificazioni mondiali. Abbiamo di fatto già in tasca il pass per Spagna 82. Bearzot quasi non le sente le parole di Cesarone, il suo sguardo è rivolto alla periferia del centro sportivo, dove i resti della Juve (davvero briciole, visto che praticamente tutta la squadra era in Nazionale) sono in campo contro la Primavera. Il centravanti di questi resti è Paolo Rossi. È squalificato, può quindi giocare solo partitelle senza arbitri ufficiali. Il rientro è previsto nell’aprile del 1982. «Posandogli le mani sui fianchi — raccontava Bearzot a Garanzini — dissi che mi sembravano di una fattrice normanna. Paolo era ancora fragile, riuscì a sorridere ma gli si velarono gli occhi. Poi mi fissò, e rispose che da quel giorno avrebbe avuto una buona ragione in più per farli scendere». In pratica, Bearzot comunicò a Pablito che lo avrebbe aspettato. «Ci sei? Perché se ci sei, tu sarai il mio centravanti al Mondiale»: furono più o meno queste le parole del Vecio. Il Calcioscommesse? La questione morale? «Io sono sempre stato convinto della sua innocenza — peschiamo ancora nello splendido libro di Garanzini —, ma non è questo il punto. La giustizia aveva stabilito che era colpevole e lui pagava il suo debito senza invocare sconti. Ci pensai a lungo in quell’inverno che precedeva il Mondiale, e prima ancora di affrontare la questione in termini tecnici mi prospettai il problema morale. Alla fine decisi che a squalifica ultimata lo avrei riportato con me». Credeva ciecamente nella «pulizia» del ragazzo. E nel giocatore: unico per rapidità, tecnica e intelligenza; vedeva prima, anticipava tutto, non lo prendevi mai.
In quella stagione, Paolo rientrò ad aprile, segnò un gol a inizio maggio all’udinese e partì per la Spagna. Bearzot fece letteralmente all in: lasciò a casa il fenomenale Pruzzo (da due anni capocannoniere in A) e con Graziani e Altobelli chiamò Selvaggi. Voleva «proteggere» Pablito, non vacillò nemmeno dopo i mezzi disastri con Polonia, Camerun, Perù e Argentina: sapeva che sarebbe stato ripagato. Ieri il Vecio, magari accompagnato da Scirea, sarà stato il primo, Lassù, ad accogliere il suo ragazzo.
Pablito alla presentazione del suo libro