Corriere Torino

Ode ai troppo bistrattat­i bar del cuore

- di Luca Iaccarino

Non so dove stiate leggendo queste righe, so esattament­e dove lo sto facendo io: al bar. In particolar­e alla Caffetteri­a Exploit di corso Marconi, famoso in tutto il quartiere — e non solo — per i suoi toast (li spalmano di burro, in modo da renderli dorati e fragranti). È domenica mattina e finalmente, dopo settimane, sono seduto a un tavolino, bevo un caffè, mangio un semidolce al prosciutto cotto e leggo il giornale. Una delle piccole, grandi gioie della vita. La colazione con la lettura dei quotidiani nel bar del cuore, ognuno ha il proprio.

Non so dove stiate leggendo queste righe, so esattament­e dove lo sto facendo io: al bar. In particolar­e alla Caffetteri­a Exploit di corso Marconi, famoso in tutto il quartiere — e non solo — per i suoi toast (li spalmano di burro, in modo da renderli dorati e fragranti). È domenica mattina e finalmente, dopo settimane, sono seduto a un tavolino, bevo un caffè, mangio un semidolce al prosciutto cotto e leggo il giornale. Una delle piccole, grandi gioie della vita. La colazione con la lettura dei quotidiani nel bar del cuore — ognuno ha il proprio — è uno di quei riti che riallinean­o il mio karma, che mi fanno iniziare la giornata col piede giusto: prima è tutto un tribolar coi bambini — vestitevi, lavatevi, siamo in ritardo, avete preso i libri? siamo in ritardo, siamo in ritardissi­mo —, dopo è lavoro e affanno, ma il tavolo del bar è avvolto da una bolla di pace e serenità. Una parentesi torrefatta in mezzo al logorio della vita moderna. Dedico la rubrica odierna a bar e baristi perché se ne parla troppo poco: dopo aver scritto una lettera proprio a questo giornale, Massimo Bottura ha rappresent­ato tutti i ristorator­i in un colloquio con il presidente del consiglio; perché il mondo di bar e caffè non ha la stessa visibilità? La stessa incisività? Il fatto è che diamo i bar per scontati, come l’aria. Ed è vero: sono una parte essenziale della vita «all’italiana», ancor più a Torino, dove caffè vuol dire storia e cultura (il mio racconto preferito, “La sirena”, è stato scritto da Tomasi di Lampedusa da Fiorio).

Ma proprio come accade con l’acqua corrente, anche con i bar ti accorgi di quanto non puoi farne a meno solo quando vengono a mancare. Queste settimane sono state un supplizio. Il bar non è solo un dispenser di caffeina, è svegliarsi la mattina e incontrare gli amici, mangiare un panino (una delle più grandi invenzioni della gastronomi­a italiana) e bersi un Campari, leggere un libro e sentire il rock (all’exploit sono patiti, hanno anche una foto con i Kiss). Dunque questa mattina, dopo settimane di semilockdo­wn, la prima cosa di cui ho voglia è il bar.

Anche per dire ai miei baristi di fiducia che gli voglio bene. E li ringrazio per questi lunghi i giorni in cui mi hanno portato i cappuccini a casa, sotto la pioggia, o si sono gelati per servirmi sull’uscio. Se avete un barista del cuore, oggi abbracciat­elo anche voi. Virtualmen­te, s’intende.

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