A San Salvario il cielo in una scatola
In via Ormea la mostra «Messico e nuvole» del collettivo creativo Just Goat
A San Salvario, il cielo è in una stanza, anzi in una scatola. Lo ha portato Just Goat, il creative collective creato da Gwladys Martini e Simone Bonzano nel loro nuovo atelier di via Ormea 10 (12-18, dal martedì al sabato), che apre le sue porte al pubblico con la collettiva «Messico e nuvole», sospesa tra tele oniriche, ex voto in salsa pop e affascinanti wunderkammer in miniatura. Gli organizzatori si presentano come grafici, allestitori e storyteller che lavorano nell’ambito della comunicazione attraverso collaborazioni con associazioni culturali, istituzioni e società private per cui curano progettualità e branding «sempre — sottolineano — con la passione per l’innovazione e il desiderio di raccontare arte e creatività in ogni sua espressione». Ed è con questa impronta che nasce l’esposizione di tre artisti emergenti, molto diversi tra loro ma uniti dal modo di riutilizzare materiali semplici, come legno e cartone.
Just Goat è il «creative collective» creato da Gwladys Martini e Simone Bonzano nel loro nuovo atelier di via Ormea 10 (12-18, dal martedì al sabato), che apre le sue porte al pubblico con la collettiva «Messico e Nuvole»
ASan Salvario, il cielo è in una stanza, anzi in una scatola. Lo ha portato Just Goat, il creative collective creato da Gwladys Martini e Simone Bonzano nel loro nuovo atelier di via Ormea 10 (12-18, dal martedì al sabato), che apre le sue porte al pubblico con la collettiva Messico e Nuvole, sospesa tra tele oniriche, ex-voto in salsa pop e affascinanti wunderkammer in miniatura. Gli organizzatori si presentano come grafici, allestitori e storyteller che lavorano nell’ambito della comunicazione attraverso collaborazioni con associazioni culturali, istituzioni e società private per cui curano progettualità e branding «sempre — sottolineano — con la passione per l’innovazione e il desiderio di raccontare arte e creatività in ogni sua espressione».
Ed è con questa impronta che nasce l’esposizione di tre artisti emergenti, molto diversi tra loro ma uniti dal modo di riutilizzare materiali semplici, come legno, cartone e stoffa, e di trasformarli in originali forme di narrazione. Abituati da troppi mesi a vite sempre più confinate tra le mura dei nostri appartamenti, le opere esposte sembrano sfidare ironicamente la realtà immaginando mondi alternativi in miniatura, anche se la poetica degli espositori precorre di molto l’emergenza virus che stiamo vivendo.
Alpac è un giovane di origini pinerolesi trasferitosi a Torino per frequentare l’accademia delle Belle Arti, studi che lo indirizzano ben presto all’arte del disegno; con uno stile che spazia dall’urban al graphic novelist, Alpac racconta gli universi e le fantasie notturne che nascono dalla sua attività di bartender. In seguito all’osservazione forzata da dietro il bancone, la sua matita crea sogni e dà vita a paesaggi soffusi dominati da onnipresenti nuvole in fuga; il tutto disegnato con materiali con cui è spesso in contatto, come le sue chine, ma anche caffè e vino rosso.
Dagli squarci surreali di Alpac ai Panoramini di Elena Biringhelli il viaggio è breve. Le scatole in legno della videoartista milanese, formatasi allo Ied come grafica pubblicitaria, racchiudono mondi prospettici.
Sono fatti di danze, giochi, maschere e bizzarra umanità, ma l’apparente distanza con il reale non fa che riportarci al presente attraverso composizioni capaci di raccontare la città, le persone e i loro sogni in pochi e semplici tratti rivelatori.
Infine la torinese Marta Evangelisti, anche lei formatasi allo Ied, che si definisce «quasi una mezza stilista e “non più” fotografa». Le sue shadowbox sono lo specchio della sua creatività e si ispirano principalmente all’iconografia messicana delle Calavere ma deviano ben presto verso l’immaginario delle icone pop del ‘900. Ed ecco come gli stilemi di Stanley Kubrick, del Signore degli Anelli e della Regina Elisabetta possono trasformarsi in un universo eternizzato e atemporale. «Amo Frida Kahlo — dice di sé — e lo stile macabro legato agli ex voto; poi prendo spunto da quello che mi circonda e sono sempre pronta a sperimentare nuove tecniche e stili».
«Amiamo la creatività — commentano alla fine del viaggio Gwladys Martini e Simone Bonzano —; per questo abbiamo messo a disposizione le pareti del nostro studio di Torino per artisti e per progetti culturali della città, un po’ com’era lo spirito iniziale di Paratissima; ma soprattutto ci piaceva l’idea di animare le vetrine di San Salvario per portare l’arte dove uno non se la aspetta». Perché si sa, è proprio in una stanza chiusa che si aprono i cieli dell’immaginazione e, di questi tempi, i sogni a occhi aperti non mancano di certo.