Corriere Torino

A Torino chi dirige guarda spesso indietro L’eccezione università

- Massimo Di Braccio Direttore Kkienn

La qualità della classe dirigente è ormai una preoccupaz­ione diffusa in città. È un’inquietudi­ne che ci coglie quando osserviamo la povertà dei piani dell’amministra­zione, la mancanza di nuovi leader che prendano la parola o l’eccitazion­e con cui i giornali scommetton­o su improbabil­i sbarchi di grandi investitor­i stranieri che salveranno la città.

Ma chi è la classe dirigente? Per evitare equivoci, iniziamo con una distinzion­e.

C’è un livello alto della classe dirigente, il vertice della piramide, le «100 persone che decidono tutto a Torino», come è stato scritto. Di certo è esistito in passato, ai tempi della città-fabbrica. Oggi ha perso buona parte del suo ruolo: emigrata la Fiat ed esplosa la crisi delle finanze comunali, non c’è stato più molto da dirigere. Non è di questa élite che vogliamo occuparci. La nostra ricerca ha scelto un’altra accezione, più ampia, che comprende coloro che per ruolo gestiscono le risorse e prendono le decisioni che influenzan­o la vita di tutti noi. Ne fanno parte i dirigenti pubblici e privati, i giornalist­i, i piccoli imprendito­ri, i primari ospedalier­i, i preti, i commercial­isti e tanti altri. Sono circa 60-80 mila persone. Sono i nostri amici che hanno fatto carriera, il nostro capo, il direttore della banca o il diriche, gente scolastico. L’educazione dei nostri figli, l’organizzaz­ione del lavoro che facciamo, se e come veniamo curati dal Covid, dipende anzitutto da loro. Cosa pensano i torinesi di questa classe dirigente? Lo deduciamo dalla fiducia dei cittadini verso le grandi organizzaz­ioni della vita locale. Abbastanza bene l’università e la Sanità, le forze dell’ordine, le piccole imprese, le istituzion­i culturali, la scuola, le associazio­ni con finalità sociali: godono della fiducia di una quota di torinesi fra il 50% e il 70%. Meno bene l’informazio­ne locale, la Giustizia, le fondazioni filantropi­che, le organizzaz­ioni di rappresent­anza delle categorie, le grandi imprese, le aziende di servizi pubblici, la Chiesa e l’amministra­zione, che raccolgono una fiducia pari ad un terzo/la metà dei cittadini. Male le élite economii sindacati, il sindaco e la giunta e i partiti: sono apprezzati da meno di un terzo dei torinesi. Ma è nel confronto con le opinioni dei cittadini delle altre metropoli europee ed italiane che cogliamo appieno la nostra situazione. In nessun caso, eccetto l’università, Torino è fra le prime città del panel, più spesso è fra le peggiori, davanti solo a Napoli e Roma. Il sindaco e la giunta sono addirittur­a i peggiori in assoluto, in compagnia di Roma. È un giudizio meritato? E da cosa dipende? Lo possiamo capire osservando il grafico: mentre a Milano e Bologna le classi dirigenti sono ispirate dai valori emergenti più di quando non lo sia la massa dei cittadini, a Torino accade il contrario. La classe dirigente guarda indietro, fedele ad un passato di cui fatica a liberarsi e preoccupat­a di un futuro che non capisce. Invece di spingere, frena, rinunciand­o al ruolo fondamenta­le di ogni classe dirigente: guidare. Serve una svolta, anzitutto da parte dei settori più sfiduciati dai cittadini: governo della città, politici, dirigenti comunali, vertici delle grandi imprese pubbliche e private, sindacati. Debbono cambiare in profondità, rinnovarsi, mettersi in gioco, dare a tutti noi speranza e coraggio, dimostrand­o di poter assumere ancora un ruolo nella Torino futuro. Oppure fare spazio ai giovani, aiutandoli a crescere e a prendere il loro posto. D’altronde non è proprio questo il compito, nobile e generoso, dei padri?

Il ricambio Non è proprio questo il compito nobile e generoso dei padri?

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy