La star del lusso è il gianduiotto
la media Europa è più del doppio, 11 kg (dati Euromonitor). E buona parte dei prodotti a base cacao mangiati in Italia arriva dalla nostra regione, protagonista in tutti i segmenti: industria, Pmi, artigiani.
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La Granda spalmabile
The Big Thing naturalmente è l’albese Ferrero, 11,4 miliardi di euro il fatturato 2019, 39,6% la quota di mercato in Italia con i marchi Kinder, Ferrero Rocher e Pocket Coffee (Lindt – proprietaria anche della storica Caffarel di Luserna San Giovanni che fattura 71 milioni – si ferma al 13,4%), ma è tutto il cuneese, ancora una volta, a dimostrarsi la locomotiva regionale. A 10 chilometri da Alba, a Canove di Govone, ha sede anche Nutkao, fondata da Giuseppe Braida il cui 80% è stato acquisito nel 2018 dalla holding White Bridge Investments: 180 milioni di fatturato in creme spalmabili a marchi di terzi (tra cui la celebre crema Pan di Stelle con cui Barilla ha sfidato Nutella nel 2018). «Stimiamo una diminuzione del fatturato 2020 del 15% — dice l’ad Federico Fulgoni — ma stiamo lavorando tanto e bene: sono certo che nel 2021 faremo meglio del 2019, che già era stato un anno ottimo». A trainare l’ottimismo di Fulgoni il 50% di ricavi realizzati all’estero «dove spesso anche le condizioni di contesto sono migliori. Abbiamo uno stabilimento in North Carolina: senza che facessimo nulla, siamo stati contattati dalla camera di commercio locale e ci sono stati versati ristori a fondo perduto per centinaia di migliaia di dollari». Il 2020 è stato invece più difficile per chi, come Venchi, ha fondato la propria strategia sui negozi monomarca: l’azienda di Castelletto Stura fa ricavi per 100 milioni il cui 75% è prodotto da 115 negozi nel mondo (50 in Italia, 40
Federico Fulgoni ceo
Negli ultimi 5 anni gli acquisti di cioccolata sono stati in costante flessione ma a sorpresa nel 2020 hanno ripreso a crescere per un settore che vale 2 miliardi di euro in Cina) nei quali occupa 650 ragazzi. «I negozi sono uno strumento fondamentale per raccontare ai clienti il nostro cioccolato, il gusto italiano» racconta Giovanni Battista Mantelli, socio e responsabile di prodotto, il problema è che i mall sono stati a lungo chiusi e dunque l’azienda prevede un calo di fatturato del 30%. Ma la voce di Mantelli è piena di energia e progetti. «Dall’ultimo raccolto siamo riusciti a portare sul nostro territorio anche la sgusciatura delle nocciole che prima era fatta in centro Italia; ora è a Farigliano. Inoltre abbiamo appena varato Gianduia 3, un gianduiotto con soli tre ingredienti: nocciola, cacao del Venezuela e zucchero caraibico».
Torino può diventare la città del cioccolato ma serve più visione. Ci mancano una scuola, un museo, associazioni di imprese
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La strategia di sviluppo prosegue sulla ricerca di qualità e nel retail, con nuovi store all’estero
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Il polo del gianduiotto
Il calo di fatturato 2020 si fermerà invece al 10% per Domori, l’azienda con stabilimento a None, parte del bouquet del “Polo del gusto” del gruppo Illy. Il 2019 era stato l’anno record – 20 milioni di ricavi, il primo bilancio in utile – ma nel 2020 hanno pesato le chiusure nel canale Ho.re.ca. Ciononostante l’ad Andrea Macchione
conferma tutti i progetti di sviluppo: «Prima di tutto non abbiamo lasciato a casa nessuno, e finiamo il 2020 salendo a 93 occupati. Poi: in questi giorni verranno emessi i bond per accelerare l’integrazione con Prestat Uk (l’azienda cioccolatiera inglese acquistata da Illy nel 2019) e aumentare l’automazione. Inoltre, come ha annunciato Riccardo Illy il mese scorso, sta partendo il progetto dei negozi plurimarca del “Polo del gusto». Se in Piemonte si muovono grandi e grandissimi – nell’alessandrino Elah Dufour Novi, proprietaria anche di Baratti & Milano, fa ricavi per circa 140 milioni; Pernigotti sempre a Novi è reduce dalla recente, travagliata cessione ai turchi Toksoz – a Torino ecco invece laboratori d’eccellenza.
Gli artigiani del gusto
Peyrano (rilevata da Alessandro Prandelli dopo il fallimento del 2019), Pfatish, Giordano, Stratta, Guido Castagna, Spes, Davide Appendino, Ziccat, Calcagno, Odilla Chocolat e tanti altri. Alcuni, pochi, sono riusciti a crescere passando dal negozio
Andrea Macchione ceo all’azienda vera e propria. Pastiglie Leone, ad esempio, recentemente ceduta dalla famiglia Monero a Luca Barilla, che oggi somma 10 milioni di fatturato. Oppure La Perla della famiglia Arzilli, che ha chiuso il 2019 con 3 milioni di ricavi, di cui il 50% prodotti dall’export. Valentina Arzilli è la ceo: «il lockdown ha prodotto un’accelerata sulla vendita on-line: abbiamo l’e-shop da dieci anni ma solo adesso lo vediamo veramente funzionare. Per ora sono numeri piccoli – siamo attorno al 6% di vendite via web – ma il trend ci sta portando a organizzare una logistica adeguata». L’ultima voce, con l’energia di sempre, è quella del più celebre artigiano torinese, Guido Gobino. Il suo 2019 s’è chiuso con ricavi attorno ai 7 milioni, quest’anno prevede un calo del 40%. Ma nei 25 anni dal Tourinot, la sua reinvenzione del gianduiotto, ne ha viste tante da non scomporsi. «Ho un’azienda finanziariamente solida, tecnologicamente avanzata, che dà lavoro a 55 persone: è questo che voglio lasciare a mio figlio Pietro che ha 21 anni e tornerà dall’inghilterra, dove studia Food Science and Business all’università di Reading». L’impresa c’è, quello che manca è il sistema attorno: «perché Torino diventi una città del cioccolato manca una visione, una progettualità: non abbiamo un’associazione, una scuola specialistica, un museo». Nel frattempo Gobino prepara la nuova generazione. «Tornato in Italia, spero che mio figlio faccia un tirocinio in un’azienda» Dove? «Il massimo sarebbe alla Ferrero. La Ferrero è l’università del cioccolato».
Chiudiamo l’anno con un calo del 15% dei ricavi, tuttavia l’export è già in ripresa
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Valentina Arzilli
Non ci fermiamo. Stiamo per lanciare i bond per agevolare la fusione con Prestat e a breve partirà il progetto dei negozi plurimarca
La vendita online comincia a correre. Abbiamo aperto il nostro e-shop 10 anni fa, ma solo adesso sta ottenendo risultati
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