«I colleghi mi bullizzano» E mette farmaci nell’acqua
Avvelenati con antidepressivi, uno finisce all’ospedale: inchiesta dei carabinieri
Bevuto un sorso d’acqua dalla bottiglietta, l’uomo si era addormentato quasi di colpo, crollando dal sonno. Un collega confessa tutto: «Mi sentivo bullizzato, così volevo far loro un dispetto».
Bevuto un sorso d’acqua dalla bottiglietta, l’uomo si era addormentato quasi di colpo, crollando dal sonno, letteralmente, con dinamica da cartone animato ma spavento da film noir: l’avevano portato di corsa al pronto soccorso, e con lui la moglie, che si era sentita male. Si era rimesso, ma quell’episodio di fine settembre era arrivato all’orecchio dei carabinieri di Beinasco: c’era qualcosa che non andava, a partire dalle tracce di benzodiazepine (una classe di psicofarmaci) rivelate dalle analisi. Poco più di due mesi dopo, un dipendente della stessa azienda, sui 50 anni, torinese, confessa tutto davanti al pubblico ministero Rossella Salvati: «Mi sentivo bullizzato dai colleghi, così volevo far loro un dispetto». Pausa, sospirando al fianco del suo difensore, l’avvocato
Dopo due perquisizioni, la confessione: «Sono stato io». È indagato per lesioni aggravate
Marinella Ruffatto: «Sono stato io». Sarebbe potuta finire pure molto peggio, come hanno ricostruito le pazienti indagini dei carabinieri. Perché non si trattava di un fatto isolato, se già dalle prime testimonianze e dai successivi accertamenti si era scoperto che c’erano stati altri episodi simili, almeno due.
Si inizia a indagare, dunque, con il problema che l’ipotesi di reato — lesioni — non permette le intercettazioni telefoniche, da anni il passepartout di tante inchieste. Toccherà fare alla vecchia maniera, soprattutto dopo che i racconti di alcuni testimoni sembrano portare verso quel collega un po’ strano, che di certo non passava inosservato. Mai un guaio con la legge, intendiamoci, ma con comportamenti che avevano fatto nascere qualche pensiero. Così, scatta la prima perquisizione, durante la quale i militari trovano a casa sua una confezione di antidepressivi: era dell’anziana madre, scomparsa
qualche mese prima. È il primo indizio, nonostante lui, sentito dagli inquirenti, neghi qualsiasi coinvolgimento. Di certo, non sarebbe la prima volta che qualcuno usa le benzodiazepine per tentare di avvelare o stordire un malcapitato: si tratta di un ansiolitico efficace contro gli attacchi di panico o ansia, ma che, in certe dosi, produce effetti sedativi. Diventando ancor più pericoloso se mixato con altri farmaci, o l’uso di alcol. Gli investigatori ascoltano il medico curante, per vederci meglio sulla prescrizione dei farmaci. Nel frattempo, tra magistrato e carabinieri prende forma una mezza idea: l’uomo ha iniziato a far uso di antipsicotici, senza prescrizione, e potrebbe averli versati nelle bottigliette d’acqua altrui.
Si va avanti a piccoli passi, con la vecchia massima del sir Arthur Conan Doyle del «Segno dei quattro», quando Sherlock Holmes sgrida il povero e fedele dottor Watson: «Quante volte le ho detto che,
dopo avere eliminato l’impossibile, ciò che rimane, per quanto improbabile, è per forza la verità?» Che arriva, qualche giorno fa, nel secondo interrogatorio, a fianco del difensore, dopo una seconda perquisizione, durante la quale i carabinieri sequestrano telefono cellulare e computer. L’ansia, come a volte succede, fa il resto. Alla fine, crolla: «Sono stato io. E non mi so spiegare il perché». Forse per dispetto, come aggiunge, o perché si sentiva bullizzato. Morale: è indagato per lesioni aggravate dall’utilizzo di sostanza venefica. Resta in libertà, poiché l’entità dell’eventuale pena non permetteva la richiesta di alcuna misura cautelare, ma la Procura ha disposto una consulenza medico-psichiatrica. E, nel caso, potrà domandare l’applicazione di una misura di sicurezza: per impedirgli di fare del male, anche a sé stesso.