«La volta che Miguel Bosé venne a Torino per conoscere Paolo Rossi»
Nadia Seghieri, amica del campione scomparso, racconta gli anni 80
Era il campione del mondo e si fermava a chiacchierare con chiunque lo salutasse per strada. Inutile provare a fare paragoni con oggi, negli anni 80 era tutta un’altra storia, soprattutto erano altri uomini. In questi giorni riguardare le foto di Paolo Rossi e delle notti magiche spagnole è così doloroso perché ci obbliga a considerare che calciatori così non ne nascono più. Nadia Seghieri è stata fortunata ad essere amica di Pablito, come lo chiama lei. «Era il settembre dell’82, mio marito in quel periodo aveva una gioielleria, La Pepita, un giorno guardo fuori dalla vetrina e vedo Rossi con sua moglie Simonetta e un passeggino. “C’è Paolo Rossi!” ho urlato a mio marito Vittorio, lui è uscito a controllare. Era davvero lui, cercavano un paio di orecchini, sono entrati, da allora siamo mo diventati inseparabili». All’improvviso la Pepita si trasformò nel quartiere generale dei giocatori juventini, «appena finivano l’allenamento correvano a trovare Vittorio, stavano insieme tutto il pomeriggio, fino alla chiusura. Anche Maurizio Mosca per avere notizie sulla Juve e sullo spogliatoio chiamava noi». E in quegli anni lo spogliatoio era perfetto. Oltre a Paolo Rossi alla Pepita si potevano trovare Antonio Cabrini, Cesare Prandelli, Marco Tardelli, la meglio gioventù del calcio. «Erano sempre insieme e sempre con il sorriso. Amavano stare in mezzo alla gente, con una parola, una foto o un autografo per ogni tifoso che entrava per salutarli. Una sera stavamo andando in un locale, abbiamo posteggiato, io ero di fianco a Paolo, a un certo punto non lo trovavo più. “Oddio, dov’è Paolo?” Poi mi sono girata, era fera parlare con il parcheggiatore. Era fatto così, per questo manca a tutti». Nadia Seghieri conserva tutti i ricordi in centinaia e centinaia di fotografie scattate negli anni: vacanze al mare e in montagna, un Natale in smoking a Sestriere, cene tutti insieme a ridere e a prendersi in giro fino a tarda notte, serate passate a giocare a carte o a tifare contro la squadra avversaria, la vita che vivono tutti i trentenni, con la differenza che Paolo Rossi ha vinto il pallone d’oro, anche se dava l’impressione di non farci troppo caso. «Mio papà aveva un ristorante, il Ponte Vecchio in via San Francesco da Paola, il lunedì era il giorno di chiusura. A volte però Paolo e gli altri si presentavano lo stesso all’ora di pranzo e papà, che era affezionatissimo a tutti anche se tifava per il Toro, li faceva entrare dal portone di servizio e loro mangiavano insieme a noi, con il ristorante chiuso, le serrande abbassate e le sedie alzate. Una cosa del genere adesso è impensabile». Altri tempi, i calciatori erano benestanti e allegri, erano belli, forti, sapevano di essere privilegiati e non se ne dimenticavano mai. Altro che macchinoni, guardie del corpo, vetri oscurati, sguardi bassi per non farsi riconoscere e per non essere costretti a salutare i fan. Altro che vita isolata, in ritiro perenne, con case ed esistenze blindate. Paolo Rossi andava in giro per strada come i comuni mortali e se qualcuno alzava la mano per salutarlo, per dirgli grazie per quei gol, lui ricambiava con un sorriso. «Sapeva stare vicino alle persone a cui voleva bene. C’è stato un momento in cui io e mio marito ci siamo separati. La Pepita aveva un soppalco e Vittorio aveva sistemato un letto e dormiva lì. Un giorno Paolo è entrato, ha preso il materasso e l’ha buttato in mezzo alla strada. “Adesso basta” ha detto a Vittorio. Voleva che io e lui ritornassimo insieme. Alla fine ci è riuscito». Sono stati anni indimenticabili. «Grazie a lui un giorno in negozio è arrivato anche Miguel Bosè, aveva saputo che Paolo era sempre qui da noi e siccome era un suo grande fan è arrivato a Torino per conoscerlo. Appena è entrato mi ha chiesto: “Scusi, sa a che ora arriva Paolo Rossi?».
❞ Era venuto a comprare un paio di orecchini, ha conosciuto me e mio marito Vittorio e da allora siamo diventati inseparabili