Corriere Torino

«Così ho portato il vitigno del Nebbiolo in Virginia»

Paschina e il suo staff curano un produzione di nicchia che serve 8 mila bottiglie nei ristoranti di New York e di Chicago

- Benna

Il Nebbiolo vuole fare l’americano. Dalla California alla Virginia, fino al New Messico e a Tijuana, il principe dei vini prova a rinascere nell’altro Piemonte, quello oltreocean­o, per mano di fedelissim­i discepoli che rifiutano l’etichetta di eretici. Tra le vigne delle Americhe si sono alternati nell’innesto impossibil­e: l’ex scienziato della bomba atomica John Balagna; il pompiere Ken Musso che imbottigli­a Nebbiolo nella Sierra Nevada; i discendent­i del primo vignaiolo piemontese nel nuovo mondo, Giuseppe Vezzetti; la famiglia Cetto che predica il culto rosso rubino nella terra della Tequila. Tanti tentativi, non sempre andati a buon fine, e non sempre apprezzati dai piemontesi rimasti nelle colline delle Langhe, che però oggi sembrano aver trovato nuovo vigore con la produzione All American di

Luca Paschina, enologo di Alba che è diventato uno dei «top 20 wine maker» d’america al servizio della cantina Zonin. «Alcuni miei colleghi piemontesi sono scettici, dicono che il mio Nebbiolo è diverso. Io rispondo secco che il loro Nebbiolo è diverso dal mio». Brutta bestia il vitigno del Nebbiolo. Il primo a germogliar­e, a inizio aprile, l’ultima a maturare, a fine ottobre. Condizioni che lo rendono inimitabil­e, il più elegante di tutti ma anche il più difficile da coltivare. È da più di un secolo e mezzo che i piemontesi con le radici nella valigia provano a far attecchire il vitigno che ama la nebbia anche dove la nebbia non c’è. I cloni del Nebbiolo, l’uva da cui nasce il re dei vini, il Barolo, sono spuntati un po’ ovunque. Anzi, a fine ottocento, sono stati i primi coloni del vino italiano negli Usa. Ma i risultati sono stati precari e approssima­tivi. E hanno avuto vita breve. Tanto che oggi la Napa Valley, il tempio del vino california­no, è una distesa di vitigni francesi, radici più facili da addomestic­are. Clima, latitudine, terra. Mica facile replicare le Langhe. E nemmeno lo è frenare la caparbietà dei piemontesi all’estero. Tra i pionieri del Nebbiolo d’america c’è stato (è scomparso due anni fa) persino uno degli scienziati del Manhattan Project, un chimico a cui scorreva il nebbiolo nelle vene da generazion­i, discendent­e della famiglia Vezzetti. A John Balagna però è sfuggita un po’ la mano riuscendo sì a coltivare nebbiolo a Los Alamos, in Nex Mexico, all’ombra degli esperiment­i nucleari. Ma l’etichetta «Grande Bomba» con cui ha battezzato il suo Nebbiolo non ha incontrato tutti i gusti fuori dagli Usa. La famiglia Cetto, origine trentine, è riuscita a spingersi ancora più a sud, sfidando le leggi di gravità del principe dei vini a Tijuana, in Messico, diventando uno dei più grandi produttori di Nebbiolo delle Americhe, persino premiato al Vinitaly. «La mia è una storia diversa — spiega Luca Paschina — sono nato a Torino nel 1961, ho studiato alla scuola enologica di Alba. Mai avrei pensato di uscire dal Piemonte. E invece sono anni che viaggio e coltivo la tradizione all’estero». A offrirgli l’incarico di replicare il vitigno che in Piemonte dà vita ai grandi vini, Barolo, Barbaresco, Gattinara e Carema, è stato Gianni Zonin, a lungo padre padrone della Banca Popolare di Vicenza, e oggi orgoglioso imprendito­re vitivinico­lo internazio­nale. «In Virginia abbiamo creato una zona vitivinico­la dal nulla. Come latitudine qui siamo al livello della Sicilia. Mica facile prendersi cura del Nebbiolo». E invece con una buona dose di volontà, Paschina e il suo staff curano un produzione di nicchia che serve 8 mila bottiglie nei ristoranti di lusso di New York e di Chicago. Qualche polemica c’è stata con i piemontesi. Polemiche che Paschina non capisce. «I francesi hanno impiantato mezza California. E adesso lo stanno facendo in Australia e Cina. Questo non pregiudica lo Champagne o i vini bordolesi. Anzi li esalta. Noi piemontesi a volte siamo troppo chiusi».

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È da più di un secolo e mezzo che i piemontesi con le radici nella valigia provano a far attecchire il vitigno che ama la nebbia anche dove la nebbia non c’è.
I cloni del Nebbiolo, l’uva da cui nasce il re dei vini, il Barolo, sono spuntati un po’ ovunque Nella foto una veduta delle Langhe
La nebbia È da più di un secolo e mezzo che i piemontesi con le radici nella valigia provano a far attecchire il vitigno che ama la nebbia anche dove la nebbia non c’è. I cloni del Nebbiolo, l’uva da cui nasce il re dei vini, il Barolo, sono spuntati un po’ ovunque Nella foto una veduta delle Langhe
 ??  ?? Scienziato John Balagna, dall’atomica al nebbiolo
Scienziato John Balagna, dall’atomica al nebbiolo
 ??  ?? Pompiere Ken Musso, suoi i vitigni nella Sierra Nevada
Pompiere Ken Musso, suoi i vitigni nella Sierra Nevada
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Enologo Luca Paschina è nei top 20 wine maker d’america

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