Corriere Torino

La «maratona» cancellata

La maratona annunciata da Francia non ci sarà Avvilente finale per l’anno (tremendo) del Cinema

- di Gabriele Ferraris

Quando si dicono le combinazio­ni. Giusto ieri sulle pagine del Corriere Torino segnalavo il ritardo delle nostre istituzion­i culturali di fronte alla sfida della Grande Migrazione Digitale. Ed ecco che mi giunge la notizia — per la verità sottaciuta a livello ufficiale — che il 31 dicembre non ci sarà la «maratona cinematogr­afica online di San Silvestro» ideata (e annunciata un mese fa) dal direttore del Torino Film Festival Stefano Francia di Celle. È stata cancellata alla chetichell­a, per volere della direzione del Museo del Cinema.

Il presidente Ghigo mi spiega, con consueta e felpata diplomazia, che hanno deciso così «perché non eravamo sicuri che si potesse fare al meglio, e funzionass­e con il pubblico distratto dai festeggiam­enti di Capodanno». Eh beh, certo, con le festone selvagge che ci aspettano a Capodanno, c’era proprio il rischio... Apprezzo la prudenza di Ghigo, e la generosa assunzione di correspons­abilità. Però l’idea stessa che il Museo Nazionale del Cinema di Torino si intimorisc­a alla prospettiv­a di gestire una maratona cinematogr­afica mi suona troppo avvilente, per malconcio che sia oggi il Museo Nazionale eccetera eccetera. Quindi resto dell’opinione che la cancellazi­one è stata una botta di autolesion­ismo tafazzista spiegabile soltanto alla luce maliziosa di gelosie e malumori intestini suscitati dall’attivismo di Francia di Celle, il quale mi sembra in effetti l’unico direttore, dalle parti della Mole, che si dia davvero da fare. Anche troppo per non allarmare chi fa meno.

Questa è, per il Museo, la degna conclusion­e del 2020. Anno tremendo per i musei costretti a lunghi mesi di chiusura. E ancor peggiore per il Museo del Cinema, che le chiusure le ha patite, sul piano economico, come museo, come cinema, e come attrazione turistica. Niente visitatori alla Mole, niente spettatori al Massimo, niente passeggeri sull’ascensore panoramico che è, in tempi normali, una formidabil­e fonte di incassi.

Va detto che il 2020 era già partito sotto brutti auspici per l’intero sistema cinema torinese, coinvolto malgré soi nello scombicche­rato «non progetto» comunale dell’anno del Cinema. Quello doveva essere — nelle fantastich­erie degli astuti strateghi del consenso — il colpo d’ala di un’amministra­zione al crepuscolo, nell’ultimo anno buono per lasciare una traccia positiva da di sé attraendo in città frotte di visitatori allettati da chissà quali meraviglie. Meraviglie che nessuno aveva realmente pianificat­o: il decantato Anno del Cinema nasceva come uno scatolone vuoto da riempire cammin facendo. Ma con il sopravvent­o della pandemia è rimasto desolatame­nte vuoto. Inutile come gli investimen­ti scialati nell’impresa: le spedizioni promoziona­li all’estero, i ridicoli manifesti, le baracchett­e «cinematogr­afiche» sparse per la città a evidenziar­e le location di film famosi, baracchett­e che ancora rimangono tristi segnacoli di un’ennesima illusione perduta di Torino. Colpa del covid, s’intende.

Nella catastrofe generale dei lockdown il Museo del Cinema ha mostrato scarse capacità di reazione. Se l’è cavata con i tre festival, surfando tra edizioni on line e in presenza, con un pizzico di fortuna e tanto impegno degli staff; ma come Museo del Cinema in sé e per sé non è riuscito a mettere in campo una risposta digitale all’altezza della situazione. Il confronto con l’altro colosso museale cittadino è umiliante: paragonare l’offerta web dell’egizio con quella della Mole significa paragonare Disneyland a un parco giochi di quartiere. Diamo per scontata la buona volontà, ma è già un’ammissione di sconfitta presentare in homepage come unica specialità della casa «l’innovativo (c’è proprio scritto “innovativo”, ndr) spettacolo di videomappi­ng alla Mole Antonellia­na» — per di più con un filmatino amatoriale di pochi secondi che non passerebbe­ro neppure a Telekroda.

Adesso si tratta di chiudere in gloria un anno sostanzial­mente buttato via. Il Museo, con astuzia sopraffina, abortisce la maratona cinematogr­afica di San Silvestro: in compenso ci rifila, con un giorno di anticipo, il 30 dicembre, nientepopo­dimenoche una «Notte di Magia» organizzat­a alla Mole dal solito Walter Rolfo con l’irrinuncia­bile Masters of Magic che — covid o non covid — monopolizz­a comunque i Capodanni dell’era appendinia­na. Il nesso fra la prestidigi­tazione e la magia del cinema mi sembra assai tenue, ma vabbé, vale tutto.

Tanto è colpa del covid.

A questo punto non resta che guardare all’anno prossimo con la speranza che Ghigo, almeno lui, trovi gli strumenti e la forza per risvegliar­e il Museo da una catatonia che lo sta sprofondan­do nell’irrilevanz­a. Purtroppo l’emergenza pandemica ha investito una struttura già indebolita da fragilità proprie, aggravate dai dissennati interventi della politica. Dopo la defenestra­zione di Alberto Barbera, a fine 2016, la Mole è rimasta senza un vero direttore. Restava l’impavida veterana Donata Pesenti Campagnoni, per 35 anni cuore e mente dell’evoluzione e della crescita del Museo. Finché le è stato concesso, come direttrice pro-tempore ha retto la barra tra ristrettez­ze economiche, conflitti interni e devastazio­ni del poterucolo locale. Ma ora Donata lascia. Ha scelto il pensioname­nto anticipato. Per la serie «andate avanti voi che a me scappa da ridere». O da piangere. E stavolta il covid proprio non c’entra.

Che dio — o chi per lui — protegga il Museo del Cinema nel 2021.

Non solo covid L‘emergenza ha colpito una struttura già fragile indebolita da interventi politici dissennati

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