Il buco nero delle Rsa Sì alla vaccinazione da 2 dipendenti su 10
Le Rsa sono di nuovo un caso. Dopo i numeri altissimi di contagi e decessi per coronavirus avvenuti al loro interno in primavera, ora è la vaccinazione contro il Covid ad agitare la Regione, i gestori e i lavoratori. Il rischio è che proprio in questi ambienti fragilissimi non si riesca a raggiungere una protezione adeguata per gli ospiti, circa 40 mila in Piemonte su 784 strutture. E le ragioni sono due.
Uno. Il dato è emerso ieri in Commissione sanità del Consiglio regionale: secondo i dati della Regione, solo il 10-20 per cento degli operatori delle Rsa ha dato l’assenso a vaccinarsi contro il Covid. L’ente aveva chiesto le loro intenzioni in fretta e furia, prima che il foglietto illustrativo fosse tradotto, senza dare informazioni. Alcuni lavoratori non sapevano del sondaggio, non hanno risposto o lo hanno fatto solo in via informale. Ma le cifre sono comunque bassissime. «Inquietanti», per il consigliere regionale Pd, Daniele Valle. E il collega di Luv, Marco Grimaldi, aggiunge: «Siamo convinti che le persone che hanno lottato duramente contro il Covid possano essere la migliore campagna comunicativa, affinché tutti gli operatori sanitari si sentano sicuri nel fare il vaccino senza renderlo obbligatorio». Misura, per altro, che dovrebbe essere presa da Roma. In tutto, sono 65mila gli aventi diritto che a oggi hanno detto no al vaccino in Piemonte. Ma il suo primo testimonial, il virologo Giovanni Di Perri, non è tragico. «In itinere molti si vaccineranno». Anche la Cgil lancia un appello. L’associazione di gestori di Rsa Anaste chiede che siano anzitutto i medici di famiglia a promuovere il siero. Ma i sindacati Fimmg e Smi invocano una campagna informativa istituzionale e la Regione promette: «Aiuteremo la gente a capire». Il secondo problema è che un ospite su quattro - tra i 10mila e i 13mila - è incapace di intendere e di volere e non ha un amministratore di sostegno. D’altra parte, spesso non serve. Ma adesso né l’ospite stesso né un familiare può firmare il consenso informato al vaccino. Che quindi non può essere effettuato. Oltre 5mila soggetti in questa situazione si trovano tra Torino e provincia e, come denunciato dall’associazione Confapi, i due soli tribunali presenti potrebbero impiegare un anno per nominare gli amministratori per tutti. Già oggi la procedura è lunga: in teoria servono 60 giorni, in pratica anche sei mesi. «Col Covid potrebbe volerci ancora di più», denuncia Valle. Confapi chiede una norma ad hoc mentre l’anaste propone che il consenso venga dato da un familiare, anche se non nominato amministratore come richiesto dalla legge. Un rebus anche per la Regione. «Stiamo lavorando con il ministero della Salute per risolvere il problema», ribadisce il commissario dell’area giuridico-amministrativa dell’unità di crisi, Antonio Rinaudo. In più, non è detto che tutti gli altri 30mila ospiti scelgano di vaccinarsi. Sullo sfondo, il dibattito sul disegno di legge per 41 milioni di euro di ristori alle Rsa. «Utile, ma i fondi - denuncia Valle in gran parte erano già destinati alle strutture per l’inserimento di ospiti in convenzione e non sono stati usati. In più nessuna risorsa è andata a chi si occupa di cure domiciliari».
I sindacati: «Serve dare più informazioni» La Regione: «Faremo una campagna»
Tra i 10 mila e i 13 mila sono incapaci di intendere e nessuno può dare l’ok