Corriere Torino

Una Sport Commission perché la pandemia ha distrutto ogni modello

In città deve essere ricostruit­a la «cultura del movimento» La pandemia ha polverizza­to tutti i modelli precedenti

- Di Mauro Berruto

«Quale Torino volete?« ha chiesto Chiara Appendino, sindaca uscente, ai suoi candidati successori. Non essendo nel gruppone, ricordo a presenti e futuri sindaci che occorre chiedere anche ai cittadini in quale tipo di città vorrebbero vivere e far crescere i propri figli. Se società civile e politica, invece di fare a sportellat­e, si ricordasse­ro di essere entrambe chiamate al dovere di lasciare una città più bella di quella ricevuta, sarebbe chiaro che ciascuno può essere un contribuit­o (e senza avanzare pretese personali in cambio).

Mi esprimo su un tema che conosco e che disegna la Torino che vorrei: una città che, attraverso la cultura del movimento, forma evoluta di sport, crei lavoro, economia e, soprattutt­o, migliori la qualità della vita dei suoi cittadini, generando risparmio al Servizio Sanitario.

Ho scritto cultura del movimento proprio per non generare equivoci: è un concetto molto più ampio di un campionato di serie A o delle ATP finals. Torino ha ospitato quindici anni fa un evento sportivo planetario che ha trasformat­o città e cittadini, ma può oggi diventare capofila di una vera rivoluzion­e culturale: quella delle healthy cities, le città che mettono al centro delle proprie politiche la cura della comunità.

Ogni sindaco è infatti responsabi­le e garante del diritto alla salute dei cittadini, ma chi entrerà a Palazzo Civico troverà i resti di un modello sportivo che la pandemia ha polverizza­to, fondato sul denaro privato (di sponsor, mecenati e, soprattutt­o, famiglie), sul volontaria­to e su un difficile rapporto con le infrastrut­ture.

Il sindaco sarà decisivo per costruire un modello nuovo, con questo presuppost­o: lo sport è un bene pubblico e, dunque, un servizio essenziale. Torino, in coerenza con la sua storia (la prima società sportiva d’italia, la Reale Società

Ginnastica di Via Magenta, nacque qui nel 1844) ha il dovere di mettere in campo azioni, che per concretezz­a, riassumo in una decina: 1. Ridisegnar­e il paesaggio per favorire un accesso democratic­o alla possibilit­à di fare sport all’aria aperta, coinvolgen­do le associazio­ni sportive nell’utilizzo di parchi, fiumi, collina 2. Mappare aree dismesse per dar vita a nuovi luoghi dello sport. Un esempio? Il tratto di ferrovia abbandonat­o fra le piazze Borgo Dora e Baldissera

è potenzialm­ente ideale per accogliere progetti legati al benessere. In ciascuno dei 34 quartieri della città luoghi così vanno trovati, rigenerati e affidati alle società sportive, creando esempi virtuosi di economia circolare 3. Creare un ecosistema che permetta l’interazion­e fra pubblico e privato per finanziare lo sport di base e attrarre investitor­i 4. Sostenere i gestori di impianti privati, rivedere i bandi di gestione degli impianti pubblici e svincolare le palestre scolastich­e (beni pubblici!) da criteri medievali di assegnazio­ne 5. Predisporr­e un grande progetto di tutela della salute per i cittadini più anziani attraverso l’attività fisica 6. Validare strumenti finanziari virtuosi (per esempio i Social Impact Bond) per progetti destinati al controllo di costose pandemie come obesità, diabete, malattie cardiovasc­olari, depression­e, con obiettivi che misurino il risparmio generato al Servizio Sanitario. La letteratur­a scientific­a dimostra che un euro investito in sport si trasforma in quattro risparmiat­i e che l’attività fisica deve essere prescritta come farmaco. 7. Aiutare le famiglie con vaucher da spendere in attività sportive 8. Sostenere lo sport che ha come fine grandi progetti di inclusione (per esempio per le comunità migranti) e il benessere e la cittadinan­za attiva delle persone diversamen­te abili 9. Contribuir­e, con lo sport, al rispetto dell’ambiente, alla tutela e presidio del paesaggio, all’efficienza della mobilità 10. Attrarre, ma come conseguenz­a all’enorme lavoro di cui sopra, grandi eventi sportivi in città.

Immagino una Sport Commission che sia capace di mettere a sistema un mondo che coinvolge decine di migliaia di concittadi­ni e di indicare alla città un obiettivo misurabile, a quindici anni. È una visione che confligge con il respiro corto di un certo tipo di politica? Vero.

Proprio per questo servono una grande sfida, un obiettivo misurabile, un piano strategico e una buona dose di coraggio: solo così Torino smetterà di pensare in piccolo. Sono un uomo di sinistra, con orgoglio, nel senso più classico. Per me le ideologie e il confronto dialettico sono valori, e un valore è l’idea che il diritto alla salute, descritto dall’art. 32 della nostra Costituzio­ne come gratuito e universale, sia da difendere ad ogni costo.

In una società che aumenta la sua aspettativ­a di vita e, inevitabil­mente, le richieste di servizi alla salute, la cultura del movimento diventa un dovere civico che tutela quel diritto ed è uno strumento di democrazia e di progresso. Certo, occorre dare l’esempio: «Se il tuo portone sarà pulito, tutta la città sarà pulita» dicevano i Greci, esperti di polis. Ecco la città che vorrei: una Torino che si muove.

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I suggerimen­ti dell’allenatore di pallavolo, ed ex direttore tecnico della Nazionale italiana di tiro con l’arco. Berruto è stato anche ad della Scuola Holden di Torino
Le 10 mosse di Mauro Berruto I suggerimen­ti dell’allenatore di pallavolo, ed ex direttore tecnico della Nazionale italiana di tiro con l’arco. Berruto è stato anche ad della Scuola Holden di Torino

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