Di notte e al buio, così Torino conobbe il tennis nell’aprile del 1880
Ernesto Cigala fonda il primo club in giorno di aprile al caffè da Fiorio Nel 1887 il progetto e le polemiche per un campo al parco Valentino
La versione made in Italy del tennis è nata a Torino alla fine dell’ottocento. Certo, a Bordighera e nella Riviera ligure, lungo l’aurelia, i gentiluomini inglesi si dilettavano con la racchetta già da qualche stagione, ma a quei tempi era a tutti gli effetti uno sport riservato a loro, villeggianti stranieri di bianco vestiti, l’accesso ai campi era vietato a tutti gli altri. A esportare il lawn tennis, come si chiamava allora, non solo in Italia, tra gli italiani fu Ernesto Cigala, aristocratico torinese che oggi definiremmo un expat con nostalgie per la madrepatria.
La versione made in Italy del tennis è nata a Torino alla fine dell’ottocento. Certo, a Bordighera e nella Riviera ligure, lungo l’aurelia, i gentiluomini inglesi si dilettavano con la racchetta già da qualche stagione, ma a quei tempi era a tutti gli effetti uno sport riservato a loro, villeggianti stranieri di bianco vestiti, l’accesso ai campi era vietato a tutti gli altri.
A esportare il lawn tennis, come si chiamava allora, non solo in Italia, tra gli italiani fu Ernesto Cigala, aristocratico torinese che oggi definiremmo un expat con nostalgie per la madrepatria. Cigala un giorno di aprile del 1880, davanti a un caffè da Fiorio in via Po, fondò la Lawn Tennis Club di Torino, prima società per soli tennisti in Italia, insieme a un gruppo di amici, totalmente digiuni di dritti e rovesci, ma abbastanza giovani e in forma per entusiasmarsi di fronte a qualsiasi novità proveniente dall’estero.
Fatta la società, servivano i giocatori, ma prima ancora i campi in cui fare pratica. Agli inizi, i tennisti sabaudi, meno di una decina in totale, chiesero ospitalità ai giocatori di pallone al bracciale, che si ritrovavano nello sferisterio della cittadella. Cigala si era rivolto a loro per chiedere se potevano rubargli il campo per qualche ora, malvolentieri gli fu concesso, in totale per tre volte alla settimana, di sera tardi. Per gli esordienti andava più che bene, l’importante era giocare.
Le racchette a Torino partirono in sordina, mentre a Roma nasceva il primo organismo federale e nel resto del Paese si attrezzavano campi, club e società, i torinesi nobili e aristocratici, continuarono a giocare nell’ombra, di nascosto. Erano pochi e pochi volevano rimanere. Nel 1887, come si legge nei documenti dell’archivio Storico della Città di Torino, i soci cominciarono a farsi sentire, sottoponendo al conte Ernesto Bertone di Sambuy, allora sovrintendente del Valentino, il progetto per la costruzione di un campo, nel parco, in riva al Po (il costo per la costruzione dell’impianto era stimato a quattordicimila lire) e, ribadivano i tennisti in erba, era un loro diritto avere un proprio spazio a disposizione visto che la città ne concedeva almeno uno a qualunque altro sport.
Ad alcuni, ancora più snob dei ragazzi del caffè Fiorio, sembrò un’eresia. Al parco andavano a passeggiare le gentildonne con i loro bambini, l’ultima cosa che avrebbero voluto veder era un gruppo di «esibizionisti» in «pose più o meno eleganti» destreggiarsi goffamente con una racchetta in mano. I giardini non si toccavano e non si dovevano sporcare con lo sport.
Ma vinse lo spirito dei tempi, il Novecento alle porte, lo sport inteso nella sua versione più moderna come pratica per il benessere del corpo e della mente, e così a partire dal 1890 i tennisti trovarono la propria sede, sulla riva destra del Po, poco distante dal castello. Intanto, la moda dei gusti bianchi cominciava a prendere piede anche in provincia, a Premeno, sulle sponde del Lago Maggiore, nel 1895, ad Asti nel 1897 e poi, in seguito, Ceresole Reale, Casale Monferrato, Ciriè, Stresa Borromeo, dove il tennis si impose come hobby per le famiglie in vacanza. In città, oltre che sul Po, si poteva giocare allo Stadium, mastodontico ed eccessivo complesso progettato da Vittorio Ballatore di Rosana (lo stesso architetto del motovelodromo di corso Casale che, nei prossimi mesi, finalmente, tornerà ad ospitare lo sport) in occasione dell’esposizione Universale del 1911 e al tennis club Juventus di corso Marsiglia, società costituita nel 1923 dal presidente della squadra bianconera di allora Edoardo Agnelli, che aveva intuito che i torinesi non avrebbero vissuto di soli calcio e bicicletta, lo sport esportato dagli inglesi piaceva sempre di più. Agli uomini, ma anche alle donne.
Come testimoniano i «Quaderni del collezionista», i volumi pubblicati dall’associazione dei collezionisti italiani presieduta da Franco Alciati, le donne torinesi si appassionarono al tennis fin dall’inizio. Nel 1894, infatti, il gioco della pallacorda era praticato dalle allieve maestre dalla Reale Società Ginnastica di Torino, che pochi anni più tardi costituirono una squadra femminile, «primo esempio assoluto a livello nazionale». Il tennis stava smettendo di essere un passatempo per ricchi annoiati e stava diventando sempre di più uno sport agonistico, sempre per ricchi. Pier Giovanni Pietra (che fonderà l’azienda di racchette Maxima) i fratelli Emanuele e Mario Sertorio, tutti tesserati per il club bianconero, negli anni Venti e Trenta erano i padroni del tennis torinese, e tra i più forti d’italia. Gli appassionati cominciarono ad aumentare, il tennis cominciò a comparire nelle pagine dei giornali.
Tutto merito di una donna, la Divina. Suzanne Lenglen, la tennista più forte dell’epoca e una delle più carismatiche di tutti i tempi, venne a Torino a fare un’esibizione di doppio misto, nei campi di corso Marsiglia. Era il 21 aprile 1926 e i giornali dell’epoca scrissero così: «Suzanne Lenglen, avvolta nella sua ricca pelliccia di petit gris, scende nel court accompagnata dal conte Bonacossa e dal suo partenaire Brugnon. Un applauso misurato, da grande première, si leva dal pubblico. La Lenglen è veramente straordinaria». Quel giorno ad applaudirla, oltre a una folla di comuni mortali e di fan che l’aveva accolta addirittura al suo arrivo in stazione, c’erano anche il Principe di Piemonte con Principessa, consapevoli dell’eccezionalità dell’occasione, come se oggi Serena Williams si presentasse allo Sporting.
Come dice Franco Alciati, grande esperto di tennis delle origini, «Torino al tennis ha sempre dato molto». Il viaggio che porta alle Atp Finals e ai migliori otto giocatori del mondo che a partire dal prossimo novembre si sfideranno al Palaisozaki per il titolo di Maestro, parte da lontanissimo, da un caffè nel bar più famoso della città, da un campetto sgangherato concesso controvoglia dall’intraprendenza di un gruppo di ginnaste e dall’apparizione della Divina.