Grano, crescono prezzi e consumi ma le coltivazioni sono sempre meno
Non solo il meteo pazzo. Anche le speculazioni dei fondi fanno schizzare in su i prezzi del grano, mentre i consumi aumentano e la superficie coltivata in 12 anni è scesa del 25%
Il lockdown ci ha trasformato tutti in panettieri e la chiusura dei pubblici esercizi ha fatto ritornare gli italiani ad apparecchiare la tavola di casa. I consumi di pasta nazionale infatti nel primo semestre sono aumentati del 23%, mentre gli acquisti nei supermercati di farine di frumento tenero (quelle cioè impiegate per pane e dolci) sono esplose di oltre il 64%.
Crescita della domanda, buona remunerazione dell’offerta, si penserà. Purtroppo non è così, perché il grano è una commodity e il clima e la finanza ci mettono lo zampino. Il combinato alla lunga rischierà di far perdere tutti, agricoltori e mulini, nella terza regione italiana produttrice di grano tenero (e penultima per grano duro, quello impiegato per la pasta).
Ultimo giorno di dicembre. «Oggi i futures di marzo hanno fatto 2%, stamattina erano a -1%: ci han fatto il regalo». L’ironia non manca a Claudio Bongiovanni, ma neanche del sano pragmatismo. Bongiovanni è titolare degli omonimi Molini, 120 mila tonnellate di grano lavorate all’anno, 35 milioni di ricavi. Ma soprattutto è presidente delle Borse merci europee del settore cerealicolo. Il grano, avvisa, mediamente viene trattato fino a sette volte dopo essere stato raccolto. «A fine anno ci si aspettava che i fondi andassero a recuperare i margini, invece continuano a investire e comprare fa aumentare i prezzi, talvolta sono speculazioni pure oppure fondi Usa pensionistici molto attivi sulle commodity agricole». Dall’8 agosto a metà novembre i prezzi del grano sono andati salendo: sulla piazza di Milano il frumento duro è arrivato a 297,50 euro a tonnellata.
A modificare i prezzi è anche il clima. «Le piogge prima della semina 2019 e quelle di questa estate per il raccolto hanno influenzato la produzione in Europa che si è ridotta», sottolinea Ercole Zuccaro, direttore di Confagricoltura. Quindi molto del trebbiato ha perso in qualità ed è stato è stato destinato all’alimentazione zootecnica (di fatto declassato), comportando meno ricavi per chi lo vendeva. Solo chi ha stoccato, vendendo ora, ha recuperato, perché le quotazioni sono salite.
«L’europa è meno competitiva e il mercato interno aumenta. La Cina, tipicamente autosufficiente, sta acquistando cerali, la Russia è tornata sulle aste e il Mediterraneo vede la crescita di import di Egitto e Marocco — spiega Bongiovanni —. Questo tiene alta la tensione sui mercati telematici, come Chicago e Parigi che condiziona anche Torino-. A oggi il grano sul telematico ha fatto +20%, passando da 175 a 210 euro (il 12 gennaio 222, ndr)». L’industria molitoria guarda con attenzione mista ad apprensione alle piogge dell’argentina o alla prossima perturbazione che colpirà la zona del Volga, idem i fondi: cavalcano il «meteo pazzo» che limita la disponibilità di cereali e fanno coperture in acquisti per vendere a prezzi migliori. I mulini, e di conseguenza gli agricoltori, subiscono questi alti e bassi.
L’italia consuma più cereali di quanti ne riesca a coltivare, quindi è giocoforza costretta a comprarli. Anche se quest’anno la produzione è aumentata tornando ai livelli del 2016, i numeri non permettono l’autosufficienza. Il nostro Paese produce circa 3 milioni di tonnellate di frumento tenero, ma ne importa 5: degli 8 totali 2 vanno alla zootecnia, 6 alla macinazione. La produzione di frumento duro è di circa 4 milioni, l’import di 2,5 (dati Istat). Il Piemonte non fa eccezione e compra dalla vicina Francia. Nel mondo la raccolta è arrivata a 771 tonnellate.
I numeri, ancora una volta, ci dicono che il pareggio è andato allontanandosi negli anni. La nostra regione infatti ha assistito in 12 anni a un calo di superficie coltivata del 25% anda
to di pari passo con quello della produzione. Quest’anno sono state raccolte 350mila tonnellate di frumento tenero, erano 450mila nel 2008 e 520mila nel 2013. Gli ettari invece dai 102mila del 2008 sono diventati 60.041 (fonte Confagricoltura). «È una discesa costante — certifica Zuccaro —. Nel 2019 il tenero era pagato 180 euro a tonnellata, oggi 210, il duro dai 260 euro è arrivato ai 290-. A questo livello di prezzi si fatica a coprire i costi di produzione». Per il dg di Confagricoltura serve una filiera che funzioni e approfittare del momento per far risalire la produzione mantenendo una remunerazione adeguata. Confagricoltura dal 2012 sta portando avanti un progetto per apprezzare il grano di qualità e così Coldiretti. «Con le semine iniziate a ottobre abbiamo chiuso buoni contratti di filiera con le realtà molitorie lanciando il programma Gran Piemonte con adesioni su oltre 5mila ettari — annuncia il presidente Roberto Moncalvo —. Si premia la qualità dei cereali, il contenuto di proteine, la sostenibilità e ci sganciamo dalle quotazioni».