Se i fatti non corrispondono alle parole
Stupiscono semmai due cose. Prima: che la notizia sia volata sulle teste di tutte le persone, gli imprenditori e i politici affaccendati a discutere di piani che, con un nuovo padrone, potrebbero subire una vistosa correzione per non essere riscritti. Ma si sa, la finanza non si nutre di dichiarazioni, preferisce farle a cose fatte. Perché di questo stiamo parlando da un po’ di anni a questa a parte a Torino, di operazioni di finanza dell’azionista di Cnh ma anche del principale costruttore automotive italiano ora quarto mondiale (Fca-stellantis). Il
Organizzazione È davvero così difficile costruire una filiera integrata per l’automotive?
2021 sarebbe l’anno di saturazione degli impianti italiani, stando alle dichiarazioni del responsabile Emea del Lingotto Pietro Gorlier. Torino ha assistito all’arrivo della 500 elettrica che ha consentito, va riconosciuto, la fine della cassa integrazione negli stabilimenti torinesi. Altri modelli sono attesi. Si rischia però, cambiando padrone, di restare a fare solo manifattura e vedersi sottrarre know how e manager capaci. E qui si arriva al secondo punto del problema: il silenzio di un certo establishment torinese, che si limita a rilasciare dichiarazioni di giubilo o di preoccupazione a corrente alternata, quando cioè il sipario sulle operazioni del Lingotto viene alzato o cade all’improvviso. Esternazioni a cui però il principale destinatario sembra sordo. Perché allora, anziché spedire lettere, non si fa massa comune e ci si pone come unico interlocutore? La politica industriale si fa anche sommando più teste, più idee, più competenze. E anche con un po’ di finanza, che non è necessariamente il male, come qualcuno si ostina a pensare. È davvero così difficile costruire una filiera integrata per l’auto che non dipenda esclusivamente da un solo committente? È impossibile pensare a una squadra di imprenditori che si assuma la responsabilità di coltivare ingegneri, salvaguardare aziende (dunque business e settori) e, perché no, rilevare imprese italiane anziché lasciarle in mani straniere? Sembra sempre facile dichiarare, ma alle parole dovrebbero seguire i fatti.