«Mazzola ci aiutò a far ripartire l’auto, poi una bronchite mi fece bianconero»
Saracco: ero interista, ma il medico leggeva Hurrà Juve
Aspasso tra la terra rossa del Foro italico per gli internazionali d’italia, Guido Saracco è alla ricerca di un campo (da tennis) e nell’attesa di vederne un altro (da calcio), che oggi alle sei della sera propone Juveinter, il duello che ha diviso la sua passione pallonara. «Da piccolissimo diventai interista — racconta il rettore del Politecnico — per un incontro casuale con Sandro Mazzola, poi mi sono convertito juventino, per il medico che mi curò l’ennesima bronchite». E se il tennis è una grande attrazione — «spesso andavo a Londra per guardare le Atp Finals che ora avremo a Torino» — il calcio resta il racconto che accompagna tutti fin da bambini e, nel suo caso, con incroci del destino da romanzo di Don Delillo. Rettore Saracco, come nasce la leggenda di lei tifoso interista?
«È la verità, altro che leggenda. Da piccolo ero tifoso nerazzurro. Conobbi per caso Sandro Mazzola, e fu un fulmine a ciel sereno». Come andò?
«Eravamo a Bordighera, ci aiutò a far ripartire la macchina, una persona davvero gentile. Quell’episodio mi restò impresso». Raccontato di questi tempi, pare fantascienza.
«Ero con mamma, l’auto era rimasta bloccata in un parcheggio, e alcune persone, tra cui Mazzola, riuscirono a
spostarla, quasi di peso. Da lì in poi iniziai a seguire la grande Inter, di Burgnich, Facchetti, Mazzola». Cosa si ricorda?
«Ero davvero piccolo, ma qualche flash delle prime partite viste in televisione resta, come le immagini dei mondiali di Messico 70». La folgorazione per la Juve quando arrivò?
«Qualche anno dopo. Succede che mi prendo l’ennesima bronchite, tant’è che poi mi levarono le tonsille, e c’era un dottore che veniva a casa per curarmi, addirittura mi fecero i raggi X a domicilio. Bene, quel pediatra tifava Juve e mi portava “Hurrà Juventus” (la rivista, ndr), all’epoca diretto da Emilio Fede». E cambiò la squadra del cuore in un batter d’occhio?
«Diciamo che all’epoca non era difficile farlo, di più se eri un bambino. Si affacciava la grande Juve degli anni Settanta, con Furino, Bettega, Trapattoni. E a proposito dell’allenatore accadde un altro episodio». Ovvero?
«Arrivo alle medie e come compagna di classe mi trovo Alessandra, se ricordo bene il nome, la figlia del Trap. Da lì in poi la mia juventinità fu definitivamente consolidata».
Le due figurine dei suoi due passati? «Mazzola e Platini». Le scoccia vedere arrivare allo Stadium Antonio Conte campione d’italia sulla panchina del “nemico”?
«Ma sono poco sfegatato, e quindi non un tifoso serio, modello palio di Siena, dove devi tifare contro gli altri». Cosa si augura?
«Spero solo che giocheremo con tutta la grinta possibile» Riprenderebbe Conte?
«Speravo che tornasse, un paio di anni fa, quando fu scelto Sarri: ma ho letto che c’era un problema con la dirigenza». Da ingegnere chimico, che reazioni scatena Conte in una squadra?
«Credo che, nel bene e nel male, sia uno che sappia marchiare l’ambiente. Un lavoratore indefesso e forte: insomma, prenderlo non è come bere un bicchiere d’acqua». Come finisce stasera?
«Vince la Juve, perché deve ancora raggiungere la qualificazione alla Champions». È ottimista?
«Da tifoso, ci credo ancora, anche se non dipende tutto dalla Juve».