«Dieci anni dalla Profezia E non sono mai diventato adulto»
I libri, Netflix, la «cancel culture» Parla Zerocalcare, lunedì al Circolo
da solo. Adesso sono concentrato sul passo successivo: un progetto più grosso con Netflix, con dietro tante persone. Non sostituirà i fumetti, ma è la scommessa del momento».
Arriva da un 2020 iperproduttivo: oltre a «Rebibbia Quarantine», ha pubblicato tre libri. Il virus ha avuto un effetto stimolante sulla creatività?
«Durante il primo lockdown sì. Con le presentazioni bloccate, ho avuto un sacco di tempo per disegnare. Il problema è che scrivo storie autobiografiche e dopo qualche mese chiuso in casa non sapevo più cosa raccontare».
Come stiamo uscendo dalla pandemia? Migliori, peggiori, uguali?
«Temo peggiori. Vedo un incattivimento generale, l’esasperazione, l’incapacità di mediare e dialogare. Faccio un esempio: Roma è famigerata per il suo traffico, ma in vita mia avrò assistito sì e no a dieci litigi tra automobilisti. Intendo quelli forti, con urla, macchine ferme e tutto il resto. Beh, gli ultimi tre sono stati nell’ultimo mese».
Sul tema della necessità di dialogo e confronto, anche su posizioni opposte, è basato «La dittatura immaginaria», il suo fumetto sulla «cancel culture» uscito ieri su Internazionale.
«Ormai viene ripetuta a reti unificate la teoria che stiamo entrando in una dittatura in cui “non si può più dire niente”, sulla quale non sono d’accordo. Non sono intervenuto prima, per non finire nel solito meccanismo delle polemiche web, ma quando mi sono accorto che questa teoria iniziava a essere sostenuta anche da persone che ritengo intelligenti e sensibili, con il rischio di un danno culturale molto grosso, ho deciso di togliermi alcuni sassolini».
Nelle settimane scorse è anche tornato a sostenere il movimento No Tav: ha partecipato all’appello per la scarcerazione di Dana Lauriola e ha disegnato una vignetta per Giovanna Saraceno, la donna ferita in Valle di Susa. Come è nato questo rapporto sull’asse Rebibbia-venaus?
«Con un concerto dei Chumbawamba. Era il 1998, avevo 14 anni e la band ospitò sul palco alcuni esponenti dei centri sociali romani che raccontarono cosa stava succedendo a Torino. Rimasi molto colpito dalla storia di Sole e Baleno. Non sono un tecnico, non posso entrare nei meriti dei costi di un metro di Tav, ma quello che ho cominciato a vedere, e vedo tuttora, è un problema di democrazia e accanimento giudiziario. Poi, qualche anno fa, sono salito in Val di Susa e mi hanno spiegato le ragioni ambientali».
È pronto al ritorno delle fiere e delle presentazioni dal vivo?
«Spero di avere ancora il fisico. Con l’allenamento ero riuscito a reggere fino a 13 ore di disegnini in pubblico, oggi ho qualche dubbio sulla mia resistenza. Però sono contento, il mio lavoro non ha senso se non incontri anche le persone».
❞ Pandemia e creatività Durante il lockdown ho avuto tempo per disegnare Il problema è che scrivo storie autobiografiche, dopo un po’ non sapevo più cosa raccontare