La griglia, regina d’estate
Ci ho messo tre anni — a mia discolpa: quasi uno e mezzo è evaporato con la pandemia — ma finalmente la settimana scorsa sono andato a provare Bifrò in strada Valsalice 2. Bifrò, per chi non ne avesse contezza, è un ristorante specializzato in carni frollate che poi diventano grandi costate che finiscono su una griglia fumante. Una parete della veranda affacciata sulla strada è interamente occupata da celle in cui fanno mostra di sé tagli di una quindicina di diverse bestie, divise per razza, provenienza, frollatura, e tante solo tra le più preziose, come il mitologico manzo di Kobe.
Ci ho messo tre anni — a mia discolpa: quasi uno e mezzo è evaporato con la pandemia — ma finalmente la settimana scorsa sono andato a provare Bifrò in strada Valsalice 2. Bifrò, per chi non ne avesse contezza, è un ristorante specializzato in carni frollate che poi diventano grandi costate che finiscono su una griglia fumante. Una parete della veranda affacciata sulla strada è interamente occupata da celle in cui fanno mostra di sé tagli di una quindicina di diverse bestie, divise per razza, provenienza, frollatura, e tante solo tra le più preziose, come il mitologico manzo di Kobe. «Oro rosso», verrebbe da chiamarlo. Ecco, da Bifrò, con un amico, mi sono concesso una cosa divertente che spero rifarò: ci siamo seduti al piccolo banco in fronte alla griglia e il titolare/ grigliatore Roberto — un ex finanziere convertitosi alla ristorazione con la compagna Laura, che conduce la sala — ha cominciato a farci assaggiare tanti tipi di carne, dalla brace alla tavola, un boccone dopo l’altro. Alle nostre spalle, tanti clienti felici che spendevano e spandevano, condividendo bistecconi da un chilo e mezzo e buone bottiglie (che bella la sensazione di una città che quando vuole sa godersela). Se racconto di questa serata da Bifrò è per dire quanto sarebbe divertente avere più griglie in città. La griglia è uno strumento di cottura bello, buono e tradizionale e negli ultimi vent’anni è tornato in voga: penso agli asador spagnoli che ne hanno fatto un’arte (chi è stato da Etxebarri vicino a Bilbao non lo dimentica, ma la qualità è altissima ovunque), ai manicaretti di superchef come Alain Passard, ma pure al ristorante Al Cjasal sul Tagliamento o a Errico Recanati a Loreto che griglia tutto, pure gli spaghetti. Ecco, a Torino griglie ce n’è poche. C’è qualche «fornello», cioè macelleria con carboni, in periferia o nell’hinterland, c’è qualche altro sparuto indirizzo in città, ma Bifrò è l’unico esempio che conosca che proponga una griglia di così alto profilo (non la definirei «gourmet» perché è senza fronzoli, grazie al cielo). Mi piacerebbe ne nascessero altre di griglie, che magari mettessero sui carboni non solo carne: il pesce ci sta alla grande (Ultimo Porto a Lisbona: una delle esperienze più pop e più belle della mia vita), le verdure transustanziano, prendendo quel bel gusto di fumo. E ho un sogno proibito: tornare a veder crepitare per bene l’immensa, splendida brace del Gatto Nero, così come ardeva decenni fa. Nulla s’inventa, tutto torna.