Corriere Torino

«Tutto ebbe inizio ai Murazzi Bianco mi presentò Torino»

Niccolò Fabi ha partecipat­o al nuovo singolo del cantautore nostrano Domani incanterà il Flowers con i brani più famosi e qualche inedito

- Luca Castelli

Esistono fiori che non sbocciano a primavera ma qualche mese dopo, in estate o autunno. In inglese li si definisce «late bloomer», termine utilizzato anche per le persone che si realizzano in età diversa dalla giovinezza. Nella musica italiana, un buon esempio di late bloomer è Niccolò Fabi. Non che al cantautore romano manchino i successi giovanili: alcune delle sue canzoni più famose

(Capelli, Lasciarsi un giorno a Roma, Vento d’estate) sono state scritte prima del gong dei trent’anni.

Ma è solo con l’uscita dell’ottavo album, Una somma di piccole cose del 2016, a ridosso dei cinquanta, che l’artista sembra aver raggiunto l’equilibrio perfetto tra ambizioni espressive, scrittura musicale e ricezione da parte del pubblico. Come ammette lui stesso, parlando del concerto in programma domani — a proposito di fioriture estive — al Flowers di Collegno, dove sarà accompagna­to da Roberto Angelini, Pier Cortese, Bianco, Daniele «Mr. Coffee» Rossi e Filippo Cornaglia. «Non è un segreto che io nutra più stima per quello che ho fatto negli ultimi dieci anni e che

Una somma di piccole cose sia

l’album a cui sono più legato», racconta Fabi. «Credo di esser maturato, mi piace far ascoltare il mio lato migliore e ho l’enorme privilegio di avere un pubblico che sembra apprezzare più il mio modo di scrivere che non un concerto greatest hits».

State vivendo il tour alla giornata, con una scaletta libera?

«Il tour è libero nel senso che non ha finalità promoziona­li e posso attingere a diversi album. Sono anche andato a ripescare un paio di cose che non avevo mai suonato, ma non sono di quegli artisti che cambiano scaletta ogni sera: di solito ci prendiamo uno o due concerti per trovare il giusto equilibrio, poi manteniamo la stessa scaletta per tutto il tour».

Ha scritto durante l’isolamento?

«No. Forse in futuro si apriranno nuovi angoli visivi su quello che abbiamo vissuto, ma per ora dal punto di vista creativo non ci ho trovato niente di stimolante».

Una piccola novità però c’è stata: ha cantato nel singolo «Fantastico», nel nuovo album di Bianco, il musicista torinese che da qualche anno è colonna della sua band.

«Ho conosciuto Bianco una decina d’anni fa nel modo più bello e casuale: ascoltando­lo suonare da Giancarlo, ai Murazzi. Mi ha colpito la forza che riusciva a trasmetter­e con una chitarra acustica a tarda notte. Si è creata una frequentaz­ione, poi un’amicizia, quindi una collaboraz­ione stretta. È come se mi avesse aperto le porte di Torino e della regione: ormai gran parte del mio staff è piemontese. È un compagno di viaggio ideale, così come lo è tutta la band. Siamo una famiglia, seppure un po’ anomala, visto che sul palco ci sono quattro cantautori: io, Bianco, Roberto Angelini e Pier Cortese».

Ricicliamo una domanda fatta nei giorni scorsi al suo collega/amico Max Gazzè, sempre alla vigilia di un live a Collegno: cosa può fare la musica in tempi incerti come questi?

«Più i momenti sono difficili, più i medicinali diventano importanti e la musica è il medicinale migliore: sano e senza controindi­cazioni. Lo è nell’attimo meraviglio­so di condivisio­ne che è un concerto e forse ancor di più quando ti trovi da solo, con le cuffie. Non so quante volte mi ha salvato ascoltare il primo movimento del Köln Concert di Keith Jarrett».

Questo tour ha un significat­o particolar­e?

«Dipende. Dal mio punto di vista, è il miracolo che avviene ogni volta in cui ripartiamo dopo una lunga pausa. Io entro sempre in un letargo simile a quello che abbiamo vissuto collettiva­mente per la pandemia. Ma è indubbio che nell’aria si percepisce qualcosa di diverso: il bisogno da parte di tutti di ritrovarsi».

Anche se ancora seduti e distanziat­i.

«In questo invece non c’è troppa differenza, ai miei live gli spettatori sono quasi sempre seduti. Nel mio concerto ideale, però, non ci sarebbero le sedie: sarebbe su un prato, dove ognuno può scegliere la posizione preferita per immergersi nell’ascolto».

❞ La mia band quasi tutta piemontese è una famiglia un po’ anomala

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