Bugie e cutter, così tentò di uccidere l’amico collega
Tagliò la fune per farlo cadere dalla mongolfiera. I giudici: 7 metri altezza idonea per un trauma letale
Bisogna affidarsi alle parole del consulente tecnico della Procura — il medico legale Moreno Bertoni — e non limitarsi ai soli dati riportati nella sua relazione, come «erroneamente» ha fatto il tribunale, puntualizza la corte d’appello nelle 44 pagine di motivazione: e cioè, che «cadendo da diverse altezze può succedere di tutto…si passa da cose minime a cose veramente più gravi fino alla morte». Figurarsi precipitare, all’improvviso, da circa sette metri, con sotto un terreno duro, dov’era pure presente «un plinto di cemento». Una valutazione che, «in quanto ignorata dal tribunale e apprezzata e condivisa dalla corte, deve essere posta a fondamento
La mongolfiera turistica a Borgo Dora smise di volare nel 2020 della decisione». Morale: quella caduta dalla mongolfiera panoramica di Borgo Dora che il 30 luglio 2018 era sembrata un incidente sul lavoro, e che per il primo grado erano lesioni volontarie (2 anni e sei mesi), in Appello è diventata un tentato omicidio (otto anni di reclusione).
Accolte dunque in toto ricostruzione e richiesta del pubblico ministero Rossella Salvati, applicata in secondo grado, davanti a un imputato (avvocati Luigi De Nucci e Paola Giusti) che aveva parlato di un tragico incidente, per stanchezza e distrazione. Prima Paolo Gorini, 57 anni, aveva mentito all’amico e collega sul tipo di intervento da fare sulla mongolfiera, poi con un cutter aveva tagliato la fune lungo la quale la vittima si stava arrampicando: «Ritiene la corte — presidente Flavia Panzano, consigliere estensore Sante Bascucci — che sia dirimente per escludere che quella sera si dovesse procedere alla sostituzione delle corde, il fatto, probatoriamente incontestato, che le stesse non fossero affatto usurate».
E ancora: «Gorini intraprese, con modalità inspiegabilmente repentina e veloce, l’ascesa al polo nord della mongolfiera con il proposito e la certezza di raggiungerlo prima dell’arrivo della vittima, essendo munito di cutter, non necessario per il prelievo dei tessuti dell’involucro». L’intervento in programma. Dunque: «Deve ritenersi che Gorini, raggiungendo rapidamente il polo nord con l’intenzione di precedere il collega (come poi in effetti si verificò), sì da impedirgli di potere approntare qualunque difesa per evitare il rischio di caduta, scegliendo in modo calcolato il momento preciso in cui farlo precipitare» ebbe «la consapevolezza e la volontà di farlo rovinare al suolo da un’altezza idonea a procurarle un traumatismo letale».
In primo grado la condanna per lesioni volontarie, per l’appello fu tentato omicidio