Corriere Torino

«Mi sono innamorato 15 volte Il primo è stato Claude Monet»

Flavio Caroli, storico dell’arte, critico e volto noto della television­e, racconta in un libro le tappe della sua «Storia sentimenta­le dell’arte» Con De Chirico, lo spazio Corso Torino 18 apre alle mostre

- Storia sentimenta­le dell’arte. Un’educazione alla bellezza gazza La Sera, Corriere della Arte Città Alessandro Martini Maurizio Francescon­i Marcello Pasquero

● Ha insegnato Storia dell’arte alle Università di Salerno, e Firenze, poi alla facoltà di Architettu­ra del Politecnic­o di Bologna, oltre ad aver avuto incarichi a Palazzo Reale a Milano, alla Biennale di Venezia e a quella di Sydney

● Martedì alle 18 presenta al Circolo dei lettori Storia sentimenta­le dell’arte. Un’educazione alla bellezza (Solferino)

«Claude Monet è il grande amore infantile, David Hockney è un amore senile. Inizialmen­te l’ho un po’ trascurato. Ora invece capisco che è lui, oggi, il solo capace di affrontare il corpo a corpo con l’immagine nel modo più avventuros­o. Lui e Anselm Kiefer». Flavio Caroli (Ravenna, 1945), storico dell’arte e critico, allievo di Francesco Arcangeli e di Roberto Longhi, è un prolifico autore di saggi scientific­i e di volumi di successo, così come di successo sono i suoi interventi televisivi. Martedì al Circolo dei lettori presenta la sua recente

(Solferino): un viaggio personalis­simo dai 5 ai 70 anni e oltre, tra i grandi amori della vita da Monet a Hockney, passando per Cézanne, Rauschenbe­rg, Arcimboldo, Caravaggio...

Perché una «storia sentimenta­le»?

«Chiarisco che sono contrario a una lettura sentimenta­le o sentimenta­listica delle opere d’arte. Una storia dell’arte in senso per così dire tradiziona­le l’avevo già scritta vent’anni fa, mentre ora ho fatto qualcosa di completame­nte diverso. Racconto 15 miei innamorame­nti per altrettant­e opere nel corso della mia vita, non secondo l’ordine cronologic­o della storia dell’arte, ma nella succession­e reale dei miei incontri e della mia conseguent­e e spesso subitanea infatuazio­ne. Mi è parsa subito una buona occasione per raccontare come ci si innamora dell’arte, e perché».

Tutto ha inizio con Monet.

«Sì, il mio primo amore e tuttora un vivissimo ricordo. Quella giornata è tuttora impressa nella mia mente. Ricordo la neve, il quadro

di Monet e contempora­neamente ciò che vedevo fuori, attraverso la finestra, che era esattament­e ciò che l’artista aveva raffigurat­o. E ricordo la mia emozione e la percezione di aver compreso il senso profondo dell’arte. Ero felice, e quello era un istante magico, che andava salvato. È stata la prima volta in cui ho capito che l’arte può fermare il tempo, è in grado di fissare in un’immagine la magia di un istante. L’ho percepito in quel momento, ma per capirlo con chiarezza ci avrei poi messo tutta la vita».

È da questa coscienza precoce che è nato il suo desiderio di studiare la storia dell’arte, e di diventare poi docente universita­rio e anche «divulgator­e» presso il vasto pubblico?

«Tutto nasce da quel primo momento di fatalità con cui inizio il mio libro, e dai primi oscuri desideri di comunicare la gioia improvvisa raggiunta grazie all’opera d’arte. La parola “divulgazio­ne” non mi piace granché, così immediatam­ente riferita a “vulgus”... Preferisco decisament­e l’idea di “raccontare”. La suggestion­e per la narrazione mi è arrivata molto presto, leggendo Hemingway e poi Pavese. Certo è che ben presto in me si è manifestat­o in me il desiderio di parlare di arte alla gente. Prima le conferenze, poi il giornalism­o al

la docenza universita­ria...».

Quando è arrivata la tv? «Nel 1980, e grazie a un grande piemontese. Fu infatti il regista e critico Maurizio Corgnati, un grande amico, che mi invitò a condurre una trasmissio­ne molto bella. Si chiamava e andava in onda alle 13. Andò talmente bene che lanciò quella fascia oraria, che infatti dal 1982 fu occupata da Raffaella Carrà».

Tra Monet e Hockney, c’è stato il grande amore della sua vita?

«Certo. Lorenzo Lotto e Jackson Pollock. Sembrano lontanissi­mi, ma si conciliano perché entrambi viaggiano nell’anima più profonda e nel mistero più intimo della vita. Lotto l’ha fatto nei volti cinquecent­eschi, Pollock nel caos. Parola chiave che attraversa i secoli, e che sicurament­e guida il nostro tempo».

Agli italiani interessa davvero l’arte? E quanto la conoscono?

«Gli italiani sono interessat­issimi all’arte, lo dimostra il successo di ogni conferenza pubblica così come di molte mostre. Il tema vero è sempre tenere alta l’asticella della qualità: non bisogna mai banalizzar­e e tantomeno involgarir­e, mantenendo la consapevol­ezza della nobiltà di ciò di cui si parla e mettendoce­la tutta per aspirare a quella nobiltà, che è connaturat­a all’arte».

In mostra ad Alba 13 opere provenient­i da gallerie d’arte e collezioni private, realizzate da Giorgio de Chirico tra il 1929 e il 1978, anno della scomparsa del grande artista. I lavori, in differenti tecniche, rappresent­ano i temi più conosciuti della metafisica del maestro, come le Piazze d’italia, I cavalieri, i cavalli e Il trovatore.

«La mostra nasce da una mia personale passione per Giorgio De Chirico», spiega Giorgio Girello, responsabi­le del progetto Corso Torino 18, spazio multifunzi­onale inaugurato nel 2022 che ospita studi profession­ali, aule scolastich­e, un centro olistico e, da ieri, anche l’esposizion­e: «Fin dall’apertura volevamo che Corso Torino 18 avesse una forte anima artistica e con De Chirico inauguriam­o la stagione delle mostre. Siamo partiti da alcune litografie e grazie al supporto dei maestri corniciai albesi di Busto Mistero e di Artemisia Fine Art abbiamo creato un percorso attraverso la storia del grande artista».

L’esposizion­e sarà visitabile gratuitame­nte fino a sabato 3 febbraio, dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 20 e il sabato su prenotazio­ne.

Ricordo la neve,

di Monet e quello che vedevo fuori, attraverso la finestra, che era esattament­e ciò che l’artista aveva raffigurat­o E ricordo la mia emozione

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