Corriere Torino

La famiglia e il mistero della

- Di Gianni Farinetti brunsa blu brunsa blu brunsa.

Direttore carissimo, la sua Annina invernale. Questa settimana abbiamo chiesto un bis del nostro lessico familiare alla nonna che, anche istigata dall’amico scrittori che adora le vecchie storie di famiglia, non si è fatta pregare. «Un’altra vicenda di Zia Madrina?», «Certo,

dài». «Bene, quando facevo le Magistrali ad Alba abitavo con zia Madrina e zia Anna. Una mattina zia Madrina voleva farmi avere un biglietto per una commission­e da sbrigare e pensò bene di venire alla Scuola di Via Maestra, cercare il mio cappotto appeso fra gli altri nel corridoio, ficcarmelo in tasca e voilà. Dunque arrivò a scuola e si mise a girare nei corridoi alla ricerca del paltò. A un certo punto il preside si accorse di quella vecchietta che deambulava spostando i cappotti e le chiese rispettosa­mente cosa cercasse. Lei, me la vedo, mi disse poi che gli rispose che cercava l’alunna Marchisio per lasciarle un biglietto. Il preside le chiese chi fosse, e lei “Sai, ero uscita in tutta fretta con quello che avevo addosso senza cambiarmi, insomma sembravo una poveretta e non volevo farti fare brutta figura dicendo che ero tua zia e gli ho detto che ero la tua mezzadra, così per fargli capire che abbiamo della

terra». Sotto il tavolo dal ridere con Gemma che scuoteva il capo: «Ah, un’altra come zia Madrina non ci sarà mai più!». La nonna rivolta a lei: «Allora racconto la famosa telefonata della cugina Rina». Gemma ridacchia: «Vabbè, se ti fa ridere». «Dunque, un mattino di… ehm, 30, 40 anni fa, eravamo a casa del nonno Battista e ridevamo da tenerci la pancia in mano per qualche sciocchezz­a, ma proprio come delle sceme. Squilla il telefono che era nell’entrata attaccato al muro, lei», indica Gemma, «va a rispondere. Era una lontana cugina della nonna, questa Rita, che le annuncia dolente la dipartita del povero Giuanin, suo marito. Questa stupida, colta di sorpresa, invece che commuovers­i per la triste notizia, era riscoppiat­a a ridere come una demente». «Avrei voluto vedere voi, eravamo lì che tenevamo il fiato dal ridere e quella con una vocina come se le fosse morto qualcuno…», «Gemma, era morto suo marito!», «Sì, fa lo stesso, so solo che non ho potuto tenermi!». La nonna all’amico scrittore e a me: «Ma in più la cugina Rita, dai rumori prodotti dalla qui presente, aveva creduto che fosse scoppiata a piangere e un po’ sospettosa le aveva detto: “Non sapevo che fossi così affezionat­a al povero Giuanin. Ed ora gran finale: la misteriosa storia della pentola blu! Dovete sapere che quando stavamo in campagna dall’altro nonno Gepu, nella casa accanto abitava una donna anzianissi­ma ma molto vispa che viveva da sola e aveva la finestra della cucina che si affacciava sul nostro giardino. La vecchietta si affacciava al davanzale e diceva: “Uh, ieri sera mi sono fatta la minestra con la — cioè con la pentola — è venuta una squisitezz­a!” Passavano due o tre giorni e rispuntava: “Ah, sapeste, stamattina ho fatto i tajarin col ragù nella pentola blu, buonissimi”. E ancora: “Oggi ho proprio voglia di magiare una bella ratatouill­e, ci metto melanzane e peperoni che tanto digerisco tutto!” Il giallo della pentola blu ci toglieva il sonno: com’era fatta? Un pentolone o un pentolino? Ci cucinava il risotto ma anche le cotolette. Poi un giorno muore di colpo. La parrocchia organizza il Rosario e i vecchi del paese vengono ad affollare la casa. Io e le mie sorelle, le indimentic­abili zia Nucci e zia Marisa, decidiamo di andarci anche noi non tanto come gesto misericord­ioso, ma perché ci siamo dette ora o mai più per risolvere il caso della celebre Ed eccoci in fila nell’entrata della casa, il salotto a sinistra con la bara sul tavolo e a destra la cucina. Senza farci vedere e con un po’ di batticuore abbiamo ispezionat­o il lavandino e i mobiletti, la madia e la parete con le pentole appese, ma della non c’era traccia. Il mistero della nostra giovinezza».

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