Corriere Torino

«Con Don Pasquale si ride del dramma della vecchiaia»

Alessandro De Marchi da domani sera dirige l’orchestra del Regio «La musica di Donizetti porta lo spettatore a provare empatia» «Un curioso accidente» Ovvero Carlo Goldoni secondo Gabriele Lavia

- Pasquale Don Pasquale Don Pasquale Don Pasquale Don L’italiana in Algeri Didone abbandonat­a Merope Luca Castelli Un curioso accidente F. Ang.

● Da giovedì dirigerà l’orchestra e il Coro del Teatro Regio in Don Pasquale di Gaetano Donizetti.

● Nel cast Nicola Alaimo e Lucio Gallo (Don Pasquale), Maria Grazia Schiavo e Francesca Pia Vitale (Norina), Antonino Siragusa e Matteo Falcier (Ernesto)

● La prima di giovedì inizia alle 20, con biglietti da 160 a 36 euro

● Domani è prevista l’anteprima Giovani riservata agli under 30: ore 20, 10 euro

Riparte all’insegna dell’opera buffa la stagione del Teatro Regio, con il di Gaetano Donizetti in scena da giovedì al 1° febbraio (anteprima per gli under 30 domani sera). Protagonis­ta è il personaggi­o del titolo, anziano benestante che per diseredare il nipote decide di sposare una donna molto più giovane, finendo intrappola­to in una burla colossale. La regia è quella storica di Ugo Gregoretti, ripresa da Riccardino Massa, mentre la direzione d’orchestra è di Alessandro De Marchi a cui chiediamo un telegramma di benvenuto: come presentere­bbe

in una frase?

«Il dramma della vecchiaia visto in maniera giocosa».

E se avesse più spazio a disposizio­ne?

«Ci sarebbe tanto da dire. Le radici di vengono da lontano: dentro ci sono i tipi della commedia d’arte, c’è la storia classica del vecchio gabbato dai giovani — che è stata rivisitata in mille modi — e c’è tutta la tradizione dell’opera buffa napoletana, dal ‘600 di Provenzale agli sviluppi con Pergolesi, Cimarosa e Paisiello, fino alla sintesi fatta da Rossini e poi proseguita da Donizetti».

Solo tradizione o anche novità?

«Donizetti introdusse l’elemento romantico nella musica. Inoltre — e questa è davvero una novità assoluta — tanto il libretto che la musica portano lo spettatore a provare empatia nei confronti del vecchio gabbato, Don Pasquale. Soprattutt­o dopo lo schiaffo che riceve da Norina».

A cui è affidata la morale della storia, con il verso «ben è scemo di cervello chi s’am

In scena Una passata rappresent­azione (nel 2010) del Don Pasquale di Donizetti, al Teatro Regio da domani

moglia in tarda età». Opinione ottocentes­ca o vale ancora oggi?

«Diciamo che in quella frase c’è un aspetto che vale in tutte le epoche: competere negli orari e nell’energia con una compagna o un compagno di trent’anni di meno è una bella sfida».

Quando ha affrontato prima volta quest’opera?

«La prima e unica volta è stata oltre vent’anni fa a Bruxelles. La riprendo con piacere, un po’ d’esperienza in più, ma lo stesso punto di vista: Donizetti ci teneva che il

fosse percepito dal pubblico come urbano e contempora­neo, per questo utilizzò tutti i tipi di danza in voga nell’ottocento. Noi seguiremo il suo approccio e aggiungere­mo un tocco filologico alla celebre aria di Ernesto: è conosciuta anche per un assolo di tromba, che tuttavia nella versione origila

nale veniva suonato da una cornetta a pistoni, strumento principe per la musica da ballo dell’ottocento. Noi useremo la cornetta».

Anche la regia di Gregoretti è filologica?

«È classica, fedele al libretto, ma lascia molto spazio alla creatività dei cantanti».

Per lei il Regio è uno scrigno dalle mille storie. Sulle sue biografie viene citato con enfasi il Giulio Cesare in Egitto di Händel del 2015. È il suo momento torinese più indimentic­abile?

«Il rapporto con la città è antico. Con il Regio iniziò nel 2000 con di Rossini ed è poi proseguito regolarmen­te, anche intreccian­dosi con il mio ruolo all’academia Montis Regalis, con cui ho collaborat­o dal 1998 al 2018. I ricordi speciali sono tanti, per esempio le Cantate di Bach fatte con l’academia e il Coro del Regio,

bellissima iniziativa dell’unione Musicale. Sono talmente legato alla città che anche al Festival della Musica Antica di Innsbruck ho presentato opere a lei legate, come la che Mercadante scrisse per il Regio nel 1823 o la di Riccardo Broschi del 1732».

Non le piacerebbe dirigerle anche qui?

«Eccome. Fino a oggi non c’è stata la possibilit­à, vedremo in futuro: ho appena conosciuto la nuova direzione del Regio e sarei contento di portare opere interessan­ti».

Fuori dal teatro, qual è la sua Torino?

«Quella del centro. Mi trovo bene a passeggiar­e per le vie, amo l’atmosfera dei ristoranti­ni, i negozi, la pianta regolare. Per un romano di madre napoletana, Torino è una città molto tranquilli­zzante».

Debutta questa sera al Teatro Carignano, dove si fermerà fino a domenica, di Carlo Goldoni, diretto e interpreta­to da Gabriele Lavia nel ruolo del ricco mercante Filiberto. Lo spettacolo è coprodotto da Effimera, dal Teatro di Roma e dal Teatro della Toscana. Scritta nel 1760, la vicenda si svolge in Olanda e, come scrive Goldoni nella prefazione alla prima edizione: «Non è che un fatto vero, verissimo», che gli fu raccontato da «persone degne di fede in Venezia al Caffè della Sultana, nella Piazza di San Marco, e le persone medesime mi hanno eccitato a formarne una comica rappresent­azione…». Sullo sfondo, la Guerra dei sette anni che si combatté tra il 1756 e il 1763 e che coinvolse le principali potenze europee di quel tempo. La commedia racconta una serie di amori incrociati e fraintesi, ma tocca, soprattutt­o, uno degli aspetti centrali dell’arte goldoniana: il rapporto tra vero e verosimile. In questa storia crudele ed esilarante, i due protagonis­ti, padre e figlia, usano le persone come marionette: amore, cura, amicizia e generosità nelle loro mani diventano strumenti per insultare, deridere e ferirsi a vicenda. Menzogne, manipolazi­one e disinforma­zione sono lo specchio deformato e attuale dei vizi dell’uomo. Lavia e Federica Di Martino, che sono sposati dal 2015, in scena sono padre e figlia. Il primo è convinto di poter decidere le sorti sentimenta­li della ragazza la quale, invece, lo beffa e si sposa a sua insaputa. «Goldoni— ammette Lavia, che ha composto anche i testi delle canzoni, le musiche sono di Riccardo Benassi — scrive un autentico delicato capolavoro». Domani alle 17.30, sempre al Gobetti, c’è «Retroscena», realizzato dal Teatro Stabile con il Dams di Torino, un dialogo aperto al pubblico tra Gabriele Lavia, gli attori della sua compagnia e Leonardo Mancini dell’università di Torino. L’ingresso è libero fino a esauriment­o posti.

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Alessandro De Marchi è nato a Roma nel 1962

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