«L’istruttoria», il teatro si mette al servizio della memoria
Dice Leonardi Lidi che la formazione di un attore è anche una formazione etica. E quindi: funzione sociale del teatro, mettersi a servizio delle parole e del loro conseguente peso, condivisione col pubblico. Tocca ancora, sempre di più forse, al teatro, farsi carico della coscienza collettiva. Tocca al teatro perché resta un avamposto antropico, un’isola, un’oasi dove abbeverarsi di umano e di presente. E di presenza. Attorniato da una miriade di reparti digitali a sopperire relazioni.
Da oggi fino al 28 gennaio, al Teatro Gobetti, in occasione delle celebrazioni per la Giornata della Memoria, gli allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino daranno voce a il celebre testo che Peter Weiss scrisse dopo aver assistito allo storico processo contro un gruppo di SS e di funzionari del lager di Auschwitz che si svolse a Francoforte dal 1963 al 1965. In quelle giornate di dibattimento vennero ascoltati quasi cinquecento testimoni, 248 dei quali scelti tra i 1.500 sopravvissuti, e questo fu il primo vero tentativo da parte della Repubblica Federale Tedesca di far fronte alla questione delle responsabilità individuali, imputabili a esecutori di ogni grado attivi nei recinti del lager.
Collettivo e sincerità sono le due parole attorno alle quali pare girare questo profondo lavoro didattico. «Ti fai portatore di parole così cariche emotivamente che la risposta individuale è molto forte — racconta Diego Pleuteri, uno degli allievi/attori —, ci sono stati pomeriggi di prove carichi di commozione e di dolore. Un lavoro del genere, che porta con sé l’orrore atroce del passato, ha bisogno di un gruppo in cui ci si senta sicuri. In cui si sa di poter condividere tutto, anche la sofferenza. Più volte ci siamo dovuti fermare, tanto il materiale era straziante».
La cronaca è solo una delle dimensioni del lavoro di Weiss, l’altra, meno percepibile, è la costante rielaborazione della memoria, la cronaca storica di quel processo non avrebbe significato se a essa non rispondessero le nostre coscienze contemporanee. Appoggiandosi alle solide mani e alla coscienza del vicedirettore della scuola Leonardo Lidi, i giovani interpreti, inseriti in una scenografia scarna composta da una scalinata bianca, si faranno carico delle voci dei sopravvissuti, esprimendo con consapevolezza il dovere di ricordare la memoria dell’olocausto, l’arte di mantenere un impegno rispetto alla storia.
Ci facciamo portatori di parole così cariche emotivamente che la risposta individuale è forte: più volte ci siamo dovuti fermare, il materiale è straziante