Corriere Torino

Le vette di Primo Levi, amicizia e antifascis­mo

La pietra-poesia per Rigoni Stern e Revelli, gli sci e la piccozza, foto e lettere: al Museo della Montagna una mostra svela il legame tra lo scrittore e le terre alte

- Alessandro Martini Maurizio Francescon­i

«Anima di invidiabil­e capienza». Così Philip Roth definì Primo Levi, protagonis­ta della mostra Le ossa della Terra. Primo Levi e la montagna,

che inaugura domani al Museo della Montagna (fino al 13 ottobre), a cura di Guido Vaglio e Roberta Mori, e in collaboraz­ione con il Centro Internazio­nale di Studi Primo Levi di Torino. Ed è proprio Vaglio a fare una doverosa riflession­e su Levi, grande figura «forse un po’ schiacciat­a dalla straordina­rietà di Se questo è

un uomo, ma che riesce a sorprender­e continuame­nte. La montagna per lui è molte cose insieme: la natura, la chimica, la materia, il luogo di amicizie. Come scienziato dalla solida cultura classica, Primo Levi spazia sempre in molte direzioni».

E la mostra indaga proprio il suo rapporto con la montagna, un luogo che comincia a conoscere presto e che frequenta sin da ragazzino. Prima Torre Pellice, poi Bardonecch­ia e più tardi Cogne. Ma la montagna, nel corso della sua vita, cambia di significat­o. Se in una prima fase significa vacanza e tempo libero, poi assume il valore della Resistenza, rimanendo tragicamen­te legata al destino dell’autore, che viene arrestato nel dicembre del 1943 in Valle d’aosta e successiva­mente deportato ad Auschwitz. Dopo la guerra è ancora la montagna a favorire e consolidar­e l’amicizia tra Primo Levi e due altri grandi protagonis­ti del Novecento, Mario Rigoni Stern e Nuto Revelli. In mostra è presente la testimonia­nza di questa amicizia sotto forma di pietra sulla quale è incisa la sua poesia A Mario

e a Nuto, che recita «Ho due fratelli con molta vita alle spalle nati all’ombra delle montagne. Hanno imparato l’indignazio­ne nella neve di un paese lontano ed hanno scritto libri non inutili. Come me hanno tollerato, la vista di Medusa che non li ha impietriti. Non si sono lasciati impietrire dalla lenta nevicata dei giorni»; accanto alla pietra una foto dei tre alla Libreria Campus di Torino nel lontano 1985. Un’unione salda, di rispetto e di stima reciproca che comincia con una lettera che Primo Levi scrive a Rigoni Stern nel 1962: «Caro Signor Stern, non so se Lei conosce il mio nome: sono come Lei un non-letterato che ha visto delle cose e le ha scritte». E una dopo l’altra sono in mostra le lettere, le foto in montagna con gli amici della giovinezza prima che tutto si spezzi, ritratto insieme a Bianca Guidetti Serra e al futuro marito Alberto Salmoni nel 1940. E poi i suoi sci e la sua picozza, una foto in cordata nell’agosto del 1943 e durante una passeggiat­a negli anni 80.

Come racconta Guido Vaglio, «è sempre stato innamorato della natura sin da bambino. Molto cambia negli anni universita­ri quando conosce Sandro Delmastro, collega di studi a Chimica, ricordato nel racconto Ferro. Con lui e con Alberto Salmoni iniziano un alpinismo un po’ più serio, ma in modo assolutame­nte e volutament­e spartano». La montagna, aggiunge Roberta Mori, «rappresent­a l’emancipazi­one dal fascismo, quel luogo nel quale l’amicizia si trasforma in un vero e proprio vincolo come nella cordata dove si è interdipen­denti».

Quello in mostra al Museo della Montagna (che quest’anno festeggia i suoi 150 anni) è anche un Primo Levi ironico nei suoi racconti tratti da interviste rilasciate nel corso della sua vita. Quella da non perdere si trova nella prima sala ed è tratta dalla conversazi­one con Alberto Papuzzi del 1984 dal titolo L’alpinismo? È la libertà di sbagliare: «Partii con Delmastro e con Alberto Salmoni, a piedi di notte da Bard a Champorche­r: il giorno dopo, con gli sci, e con 30 chili a testa negli zaini, dovevamo traversare fino alla cosiddetta Finestra di Champorche­r, poi scendere, risalire la Valeille, raggiunger­e Piantonett­o, puntare sul Gran Paradiso... Era un’idea di Delmastro, il quale più si faticava più era soddisfatt­o. Io rinunciai già a Cogne».

La montagna per lui è molte cose insieme: la natura, la chimica, la materia, il luogo di amicizie E rappresent­a l’emancipazi­one dal fascismo

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 ?? ?? Sulle cime A sinistra, Primo Levi al Pian de la Tornetta nel 1983; in alto, sul tetto del rifugio Sella a Cogne nel 1940; qui sopra, alla Capanna Margherita negli anni 60
Sulle cime A sinistra, Primo Levi al Pian de la Tornetta nel 1983; in alto, sul tetto del rifugio Sella a Cogne nel 1940; qui sopra, alla Capanna Margherita negli anni 60
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