«La danza ci può mostrare “l’altra metà del mondo”»
Mohovich presenta la rassegna Palcoscenico Danza al Teatro Astra Otto spettacoli, tra cui due prime assolute e una produzione del Tpe
Dopo il mese di abbuffata a dicembre, con la coda del Bolle & Friends nelle vacanze natalizie, e dopo il mese di relâche, come dicono i francesi, in gennaio, la programmazione di danza riprende vivace con la rassegna Palcoscenico Danza diretta da Paolo Mohovich, che si innesta nella stagione del Teatro Piemonte Europa da nove anni (mentre prima era il Balletto dell’esperia a dare cornice alla programmazione).
Per valutare la continuità del vostro cartellone rispetto a quello diretto da Andrea De Rosa partiamo dai titoli: L’altra metà del mondo per voi, Cecità per il Tpe, che fra l’altro ha debuttato con la danza, con lo spettacolo di Virgilio Sieni da José Saramago.
«Ho scelto un tema consono con la “Cecità”. L’altra metà del mondo attiene al non voler vedere, all’ignorare. Parti sconosciute, a livello geografico, fisico, mentale che non consideriamo, che non sempre sono visibili».
Qual è stata l’evoluzione di questi 15 anni di Palcoscenico Danza? Ci sono tratti che rimangono e altri che sono mutati? Avete coreografi fidelizzati nel tempo, come Roberto Zappalà che torna per il terzo anno e apre la rassegna con il suo recente Cultus (il 10 febbraio)...
«Sì. Le linee guida sono diverse. Per distinguerci dalle altre programmazioni a Torino, portiamo la danza contemporanea formalista, nel senso di spettacoli dove sono il linguaggio del corpo e la danza pura a esprimere la drammaturgia, e sempre con formazioni di numerosi elementi. Poi manteniamo un’attenzione per la creatività di area spagnola che è meno sostenuta di altre e per questo meno conosciuta, ma molto valida. Per primi avevamo accolto La veronal che ora è acclamata internazionalmente. Inoltre programmiamo ogni anno uno spettacolo di danze etnico-folkloriche rivisitate, come è stato per Aakash Odedra e infine uno di danza “contaminata”, in collaborazione con il Tpe».
L’attenzione al territorio si esprime invece nelle collaborazioni con la junior company Eko Dance Project di Pompea Santoro e con il festival di Natalia Casorati Interplay di cui, come in uno spot, presentate un assolo, quest’anno della raffinata artista Teresa Noronha Feio.
«Per lo spettacolo di marzo (23 e 24) per l’eko abbiamo creato io stesso, su musica di Johann Johannsson, e la giovane barese Roberta Ferrara che, con l’intervento drammaturgico di Santoro, si approccia addirittura alla Sagra della
primavera ricreandone atmosfere e significati, entrando e uscendo dal rito. Per le date di maggio (11 e 12) invece saranno tre ex allievi dell’edp e il danzatore del Tanz Theater Wuppertal Fernando Suels Mendoza a coreografare per i giovani di Pompea».
Con il keniota Anuang’a (11 marzo), lo scenario è invece extraeuropeo.
«In collaborazione con la Lavanderia a Vapore che organizza un focus africano, troverete questo danzatore in un assolo dove la danza masai si contamina con il contemporaneo e trova significati attuali. Anuang’a è infatti un artista che ha spesso lavorato con Carolyn Carlson».
Con la compagnia basca Dantzaz (28 marzo) si ritorna invece alle compagini numerose e con formazione accademica?
«Infatti. Le coreografie sono dell’emergente Giovanni Insaudo, dell’olandese Wubkje Kuindersma e mie, dove ancora una volta mi soffermerò su un’altra metà sommersa: le profondità marine».
E cosa ci può dire del mondo immaginifico del regista, scenografo, coreografo, scienziato Aurélien Bory (1114 aprile) che ci presenta una sua visione di Palermo, città che stregò anche Pina Bausch? E sull’arrivo dell’étoile torinese del Balletto di Amburgo Silvia Azzoni (23-24 aprile), che raramente ha ballato nella sua città?
«Bory crea un universo intero, Silvia Azzoni, qui con il partner Olexandr Ryabko, è una ballerina eccelsa che porta tre coreografie sul mito di Narciso con la musica dal vivo eseguite dal virtuoso pianista Michael Bialk».
Con la Lavanderia a Vapore ci sarà anche un focus africano in cui la tradizione masai incontra la contemporaneità