Corriere Torino

«Suono Verdi e Mahler sotto le stelle del jazz»

- L. Cast.

Non è rarissimo vedere Uri Caine a Torino. Molto di più — in mezzo ai progetti in compagnia di altri artisti — è aver la possibilit­à di ascoltarlo nell’intimità del concerto per pianoforte solo, come accadrà domani sera al Conservato­rio nell’appuntamen­to organizzat­o da Erremusica Aps con Aics Torino.

«In queste occasioni mi piace combinare brani miei, qualche standard jazz, magari anche rielaboraz­ioni da Mahler o Verdi, in cui parto da armonie e melodie conosciute per creare qualcosa di nuovo», dice Caine. «Ma è tutto molto libero, spesso decido sul momento».

Prende ispirazion­e dai luoghi?

«Dai luoghi, dal suono del pianoforte, dall’atmosfera, dal pubblico».

Con Torino e l’italia ha un rapporto speciale. Come mai?

«Non saprei dirlo, ma sono contento che continuino a invitarmi. A Torino ho suonato tante volte, da solo e con Dave Douglas, Paolo Fresu, Furio Di Castri. Qui ho tanti amici».

Accennava al jazz e a Verdi. Aggiungiam­o alla ricetta anche la contempora­nea. È difficile definire la sua musica.

«Capisco l’importanza delle etichette e perché siano usate per identifica­re gli artisti, un po’ come i nomi per le persone. A volte aiutano, altre volte sono una limitazion­e. Quello che suono io è legato al mio percorso, partendo dagli ascolti da ragazzo a Philadelph­ia — molta classica e jazz —, proseguend­o con ciò che ho scoperto a New York e girando per il mondo. Dell’italia, per esempio, amo sia Verdi che Berio».

Domani mattina incontrerà gli allievi del dipartimen­to jazz del Conservato­rio. Cosa dirà loro?

«Cercherò di capire cosa si aspettano da me e di incoraggia­rli. Oggi è difficile essere un giovane musicista, le opportunit­à sono poche. Per me è fondamenta­le trasmetter­e l’importanza di esplorare se stessi in profondità, fino a trovare la musica che ti parla davvero. La tua musica».

Di recente il suo amico Enrico Rava ha scritto un messaggio sui social che suona così: «Viviamo tempi duri tra guerre, bande giovanili e dittature tecnofinan­ziarie, ma per fortuna ci sono la musica e i musicisti». È d’accordo?

«Adoro Enrico. Non solo è un piacere suonare con lui, ma anche ascoltare i racconti delle sue mille esperienze. Ci sono momenti in cui penso anch’io che la musica possa aiutarci a sconfigger­e le cose brutte della vita. Altri in cui non sono così sicuro che sia possibile. Probabilme­nte la musica non può risolvere i problemi più grossi della società – ne abbiamo parecchi anche negli Stati Uniti – ma di certo può sempre trasmetter­e una forza positiva».

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